Duke Nukem Forever: intervista a Randy Pitchford
Il capo di Gearbox sulla reazione del pubblico e perché il grafico dei voti sembri "un paio di tette".
Duke Nukem Forever è uscito a giugno 2011, dopo ben 15 anni di sviluppo: il record assoluto per quanto riguarda un videogioco. La storia della sua creazione è colma di aneddoti, difficoltà e curiosità, ma non era per parlare di questo che ci siamo seduti al tavolo con il boss di Gearbox Software, Randy Pitchford, ossia l'uomo che ha salvato il beneamato Duca dalla sua apparente condanna al purgatorio dei videogiochi.
Quello di cui abbiamo parlato è stato il modo in cui il gioco è stato accolto dal pubblico e dalla critica. Al momento del lancio le recensioni furono piuttosto contrastanti: alcune positive, altre molto meno. Parecchi criticarono aspramente l'aspetto grafico poco rifinito e il design proveniente da un'altra era, e alcuni trovarono eccessivo e sgradevole il particolare humour del gioco. Nel complesso, l'ultima fatica del Duca ha raggiunto una media Metacritic di 54/100, un punteggio non propriamente "nobile" e di certo una delusione per molti dei fan che così a lungo avevano atteso il suo ritorno.
Eurogamer ha quindi deciso di confrontarsi con Randy Pitchford e discutere con lui della tiepida reazione riservata dal pubblico a Duke Nukem Forever, della stampa in generale e di cosa significhi lanciare un progetto così atteso e così controverso al tempo stesso.
Ci credo veramente. Quando ho potuto mettere mano per la prima volta su quello che 3D Realms stava creando, ne sono rimasto veramente sorpreso. Come chiunque altro, mi chiedevo cosa stesse succedendo e come stesse procedendo lo sviluppo... e devo dire che c'era parecchia carne al fuoco.
Non so se hai mai giocato a Duke Nukem Forever. Beh, è incredibile. Insomma... sei miniaturizzato e ti ritrovi in un fast food a saltare tra le vasche di olio fritto e gli hamburger per riuscire a proseguire nella tua missione. E quando capisci veramente di cosa è fatto il gameplay vero e proprio, capisci che è molto simile a quello di Half-Life.
È essenzialmente un'esperienza lineare, narrativa, ma i puzzle derivano dall'ambiente in cui ci si trova. Non si tratta solo di sparare ai cattivi. Alcune parti ti fanno chiedere: "ok, come faccio ad oltrepassare quest'area? Con cosa devo interagire nell'ambiente per sbloccare la strada?". In un frangente ero in un cantiere e non riuscivo a raggiungere una piattaforma; c'era un enorme container in bilico, al che ho realizzato che prendendo degli oggetti pesanti e facendoli rotolare sul container l'avrei ribaltato... e sarei riuscito a raggiungere quella piattaforma che prima mi sembrava fuori portata. Insomma, un puzzle in stile Half-Life.
"Non so se hai giocato a Duke Nukem Forever. Beh, è incredibile" - Randy Pitchford"
A mio modo di vedere, anche il ritmo è simile a quello di Half-Life 2. Il gioco ti porta in un'area puzzle e ti lascia lì finché non hai preso confidenza con tutti gli elementi degli enigmi. "C'è questo, quello e quell'altro ancora... Ok, se interagisco con quella determinata cosa posso andare avanti". E poi a questo si alterna una sezione di combattimento, con nemici sempre più forti, un'arma nuova o due da testare in scenari di combattimento differenti. Se consideri la struttura del gameplay e il ritmo, sono quasi identici a quelli di Half-Life.
Come va presa questa cosa? Per alcuni potrebbe essere come dire che "Una notte da leoni" è identico a "Quarto potere". Ovviamente, parlando della storia e del significato che essa ha riguardo la condizione umana eccetera, si tratta di due film molto diversi. "Una notte da leoni" è un film molto semplice e quando è uscito il seguito si è preso un 35/100 su Rotten Tomatoes. A mio giudizio era un film molto divertente e ben fatto per il suo genere dal punto di vista della costruzione narrativa, ma il suo humour diretto, le sue situazioni grottesche e sconce e la sua formula elementare sono stati visti come un difetto. Questo succede anche ai videogiochi, specialmente per chi ritiene che dovrebbero "elevarsi" allo status di forma d'arte.
"Il gioco era in sviluppo da 15 anni, alcuni dei suoi contenuti erano stati creati nel 2006 - Randy Pitchford"
In che senso?
Questo è quanto successo a "Una notte da leoni". Per quanto riguarda Duke, ci sono stati un sacco di fattori. Innanzitutto i 15 anni di attesa, che hanno creato delle aspettative impossibili. Il gioco era in sviluppo da 15 anni e alcuni dei suoi contenuti erano stati creati nel 2006, una cosa che non è stata giudicata con clemenza.
Poi ci sono i contenuti, che per alcuni sono difficili da digerire. Quando le ragazze del Duca vengono rapite e messe incinta dall'alieno, e stanno per morire e dicono "Duca, salvaci!", e lui risponde "Beh... sembra che siate fottute!", con un doppio senso sul fatto che erano state messe incinte... beh, questo tipo di humour non è per tutti. Non tutti riescono a prendere la cosa per quello che è, ossia un videogioco volutamente stupido e fatto per divertire, al punto da prendere in giro le sue stesse esagerazioni.
"Per quanto mi riguarda, il gioco è andato come previsto - Randy Pitchford"
Per quanto mi riguarda, il gioco è andato come previsto, ma se mi chiedi delle reazioni della stampa... Beh, ho visto questo ragazzo che faceva un'analisi di tutte le recensioni: aveva un piccolo grafico con 10, 20, 30, 40, 50, 60, 70, 80, 90 e 100. Per ogni voce c'era una barra che indicava il numero delle recensioni in quel range di voto. Più o meno tutti gli altri giochi esaminati in questo modo hanno una curva regolare, con un picco al centro della curva che poi va a scendere gradualmente verso i lati.
L'unico esempio totalmente differente che riesco a ricordare è Duke Nukem Forever: c'erano due curve, una sulla sinistra, nella zona dei voti bassi, che poi sprofondava al centro e risaliva di nuovo sulla destra, nella zona dei voti 75-80. Sembrava come un paio di tette. Ed è l'unico gioco per cui abbia mai visto una cosa del genere. Interessante, no?
Sai chi me l'ha fatto notare? Allen Blum. Lui ha creato Duke Nukem e ha lavorato alla 3D Realms per tutta la sua carriera. Io e Brian abbiamo lasciato 3D Realms nel '97 per fondare Gearbox. Nell'arco del tempo dello sviluppo di Duke Nukem Forever, noi abbiamo formato Gearbox e sviluppato tutti quegli altri giochi. Allen invece è rimasto lì, e quando 3D Realms ha chiuso i battenti non si è arreso.
È venuto da Gearbox con il suo team, che era un terzo del team originale di Duke Nukem Forever, per finire il gioco. È stata una delle ragioni per cui mi sono spostato in Texas. Adoro quell'uomo, è uno dei migliori designer che abbia mai conosciuto. Ed è anche un amico, una grande persona. Uno che spende 15 anni della sua vita nello sviluppo di un titolo e che quando il gioco finalmente esce e arriva il grafico delle recensioni, commenta: "Uh, guarda, sembra un paio di tette!". Non è il massimo?
Che Duke è un caso anomalo, limite. C'è qualcosa che lo rende speciale.
"Duke Nukem è totalmente unico nel suo genere. È estremo, totalmente folle" - Randy Pitchford"
Sì. È totalmente unico nel suo genere. 15 anni? È assurdo. È il ciclo di sviluppo più lungo nella storia di qualsiasi cosa. È estremo, totalmente folle. E non poteva che trasformarsi in un gioco altrettanto estremo.
Il gioco stesso, il processo di sviluppo, sono una leggenda in sé. È molto improbabile che vedremo di nuovo una vicenda del genere, e i risultati rispecchiano la follia di tutta la storia. Ogni recensione (e non le ho lette tutte, ma un bel po') ha un approccio diverso. Alcuni hanno visto un'occasione per divertirsi senza troppi pensieri e far saltare in aria un po' di cattivoni. Altri hanno giocato in modo molto lineare e semplice. Alcuni lo hanno amato. Ogni reazione è stata molto diversa dalle altre.
Non mi pento mai di niente ma con la stampa a volte capitano cose particolari. Le notizie rimbalzano in modo bizzarro. Vedi, io sono una persona molto trasparente e diretta. Se tu mi fai una domanda, io ti do una risposta dicendoti quello che penso. Ma poi succede che la mia risposta viene ripresa da altre 100 pubblicazioni che la trasformano in una sorta di dichiarazione ufficiale al mondo. In realtà no, è solo una cosa che ho detto mentre stavo facendo una conversazione con qualcuno che mi ha rivolto una domanda.
A volte poi viene riportato solo un estratto di una conversazione, che suona nel modo sbagliato, e diventa un titolo da mettere in prima pagina solo per cercare di attirare quelle attenzioni che magari una normale intervista integrale non cattura. Da un certo punto di vista capisco questo meccanismo giornalistico e lo rispetto. Non mi sono mai pentito di niente di quello che ho detto, ma ho tratto degli insegnamenti da questo tipo di dinamica e imparato a comportarmi di conseguenza. Perché, pur accadendo piuttosto spesso, non sono sicuro che questa sia sempre una cosa completamente onesta nei confronti dei lettori, quindi è necessario imparare ad evitare possibili fraintendimenti. È uno dei rischi del mestiere, ma nonostante tutto io continuo ad essere piuttosto aperto e a dire quello che mi passa per la testa.
Certo... non posso essere licenziato!