Grand Theft Auto: Chinatown Wars
Il crimine diventa portatile.
Grand Theft Auto: Chinatown Wars è finalmente approdato su DS. Ai tempi del suo annuncio, Rockstar spiazzò tutti portando la sua serie più spregiudicata sugli "innocenti" lidi del portatile Nintendo. La reazione del pubblico, così come la nostra, fu di sincera curiosità, se non altro per capire quale tipo di contaminazioni avrebbe avuto un brand del genere su una console il cui target continua ad essere incredibilmente eterogeneo.
Tenendo conto delle aspettative, potremmo suddividere i fan in due file ben distinte: da una parte i sostenitori ad oltranza, quelli per cui "GTA è sempre GTA, e non c'è storia per nessuno", dall'altra coloro che, plausibilmente, si sono interrogati sul'eventuale pericolo di una trasposizione "forzata", che avrebbe potuto compromettere quelle collaudate meccaniche di coinvolgimento emotivo in cui Rockstar Games è ormai maestra indiscussa. Ecco, se vi siete già posizionati sulla prima fila, potete anche smettere di leggere. Date un'occhiata veloce al voto, giusto per avere la coscienza a posto, e inveite pure contro il sottoscritto.
Scrivo questo proprio perché comprendo appieno le vostre ragioni, ma qualora abbiate la pazienza di ascoltare le mie, proverò a spiegarvi che sì, GTA è sempre GTA, ma questo episodio in esclusiva su DS e un po' meno GTA degli altri.
Il protagonista di Chinatown Wars, Huang Lee, arriva negli Stati Uniti a seguito della morte del padre, un "puttaniere cocainomane" (come lo definisce lui) il quale gli ha lasciato in eredità la spada di famiglia e l'onere di vendicare la sua prematura dipartita. Appena giunto in USA, Huang scopre subito a sue spese i fasti del sogno americano: alcuni sicari aprono il fuoco su di lui e rubano il prezioso cimelio affidatogli. Il sogno si rivela un incubo. Convinti di averlo ucciso, scaraventano Huang su un fiume all'interno di un'auto. La prima interazione tramite prennino è dettata proprio dalla necessità di picchiettare sullo schermo per infrangere il vetro anteriore e nuotare verso il molo.
Una volta giunti sulla terra ferma si avrà l'inebriante sensazione di trovarsi dinnanzi ad infinite possibilità. La città si stende di fronte a voi tramite un'efficace visuale a volo d'uccello, e c'è già una macchina pronta. Non c'è tempo da perdere, bisogna riferire tutto allo zio Kenny, esponente della mafia locale, e cercare di porre rimedio al disonore arrecato alla famiglia. Da qui in poi si darà avvio alla ben nota escalation di crimini legati al franchise, nel tentativo di conquistare la vendetta e farsi largo nel mondo della malavita.
L'incipit, come avrete già capito, è il classico e banale pretesto per fornire una motivazione qualsiasi alle deprecabili imprese del protagonista. Il setting e l'atmosfera saranno familiari per la quasi totalità dei giocatori, ma nonostante tutto non possiamo che evidenziare l'inconsistenza della struttura narrativa. Non ci riferiamo certo alle schermate in stile cartoon, le quali sono anzi ben realizzate e dotate di quel tocco tipicamente Rockstar, ma ai dialoghi e alle pulsioni attribuite al nostro alter ego e ai comprimari. Dal discorso iniziale di Huang si evince che i suoi propositi di vendetta sono poco più che volubili capricci, come a dire: "sì, hanno freddato il vecchio ma, ehi, era pur sempre mio padre." Siamo pertanto lontani anni luce dai variegati tratti psicologici di un Niko Bellic o un CJ a caso, e sia chiaro che l'hardware di riferimento non ha alcuna colpa in merito. È persino superfluo dire che una buona storia rimane tale a prescindere dal medium utilizzato.