Halo: Reach
L'anello si chiude qui.
Dopo il successo dei primo tre Halo, non dev'essere stato facile per Bungie affrontare Reach. Innanzitutto perché, essendo un prequel che si colloca prima dell'arrivo di Master Chief, narra la storia di un gruppo di forze elite chiamato Team Noble. Questi, degli Spartan ante litteram, sono nettamente più forti di un normale soldato ma ben poca cosa rispetto all'eroe per eccellenza della serie.
Ciò significa che Halo: Reach avrà per protagonista tale Noble Six e non Master Chief, il che non è un dettaglio di poco conto: nonostante esteticamente i due differiscano ben poco, il secondo è uno dei personaggi più carismatici della storia del videoludo (sebbene non per tutti), e chi ha giocato ad ODST sa cosa vuol dire affrontare un Halo senza il suo campione.
Un'altra ragione che deve avere reso non facile il lavoro di Bungie è che questo è l'ultimo gioco della serie che verrà prodotto dal glorioso team americano.
Salutare una delle saghe di maggior successo nel campo dei videogiochi, grazie alla quale si è raggiunta la consacrazione mondiale e con cui si è convissuto per oltre 9 anni, non è cosa che si possa fare a cuor leggero. Men che meno sapendo che i diritti del marchio resteranno in mano di Microsoft, che un domani farà uscire altri Halo affidandone lo sviluppo a qualcun altro.
Al tempo stesso però, come mi ha confermato Brian Jarrard nel corso dell'intervista di fine luglio, chiudere qui la serie che li ha resi famosi è anche liberatorio.
Finalmente qualcosa di nuovo con cui mettersi alla prova, nello specifico un gioco che verrà prodotto da Activision e del quale David De Martini di EA Partners ha detto che saranno necessari ben cinque anni di sviluppo, un periodo che di solito coincide con quello necessario a un MMO.
Infine, l'ultima difficoltà che Bungie deve avere affrontato è stata come migliorare, se possibile, un gioco il cui gameplay è ammirato e riverito da milioni di fan in tutto il mondo, e il cui multiplayer è stato capace di fare spendere miliardi di ore online a tutti gli appassionati che ne popolano i server da quando esiste il Live di Xbox.
Certe alchimie, infatti, sono così perfette che a volerle migliorare si rischia paradossalmente di rovinarle. Eppure, questo lo posso anticipare, Bungie è riuscita a disinnescare egregiamente questa potenziale minaccia con un approccio "alla Blizzard" che possiamo definire conservativo: cambiamenti ridotti al minimo e tante limature, aggiustatine e piccoli ritocchi a un impianto così rodato che sarebbe stato folle stravolgere.
È quindi con queste considerazioni in mente affrontato la campagna di Halo: Reach.
BENVENUTI A REACH
Dopo un'intro davvero ben fatta che ci fa capire che prenderemo il posto di un precedente membro del team Noble, caduto in battaglia sul pianeta Reach, verremo subito assegnati a un incarico all'apparenza di routine che ci vedrà ispezionare un ripetitore situato a Visegrad, che pare sia stato sabotato da dei ribelli.
Ovviamente, e non poteva essere diversamente, col prosieguo della trama scopriremo che nulla è come sembrava originariamente e che dietro in realtà ci sono i Covenant, che in gran silenzio hanno preparato una vera e propria invasione del pianeta. Il modo in cui si arriva a questa scoperta è graduale e molto ben descritto, e testimonia la cura riposta nella sceneggiatura da Bungie.
Ora, mi piacerebbe davvero raccontarvi per filo e per segno la trama del gioco, perché meriterebbe di essere narrata, ma già so che se lo facessi dovrei poi darmi alla macchia in qualche stato straniero, ragion per cui eviterò di scendere nei dettagli, limitandomi ad alcune osservazioni generiche.