Il making of di God of War III
Per un gioco epico serve un team altrettanto epico.
Uno degli aspetti cruciali nell’aspetto cinematografico di cui gode God of War III è derivato dal lavoro svolto con le inquadrature. Analogamente ai precedenti capitoli, e in contrasto con Uncharted 2, il giocatore ha in realtà un controllo davvero limitato sulla visuale in-game. Santa Monica infatti possiede un piccolo team incaricato di gestire l’azione, secondo meccanismi riconducibili a quelli del direttore della fotografia in una pellicola cinematografica.
Avere un sistema di inquadrature scriptate assicura che i giocatori possano godere le parti migliori dei fantastici scenari che gli sviluppatori hanno messo insieme. Quando si sta correndo da un punto A ad un punto B, perché focalizzarsi su una porzione di terreno e su qualche muro quando invece si può effettuare una panoramica e rivelare nel suo insieme tutto quanto si erge nelle vicinanze?
Santa Monica, come appena accennato, ha una squadra formata da quattro persone che è incaricata proprio di curare queste inquadrature, mentre buona parte del tempo speso dai programmatori è dedicato a rendere tutti questi elementi efficaci al punto giusto.
“Le inquadrature partono da foglio di design fornito dai level designer”, ha svelato il camera designer Stephen Peterson. “Inseriamo tutte le telecamere per il documento di design; una volta che sono al loro posto vengono testate e se il concept sembra funzionare a dovere, procediamo e giriamo le informazioni al dipartimento artistico”.
“È qui che talvolta spenderanno mesi nel realizzare aree che abbiano un aspetto epico”, ha aggiunto il lead camera designer Mark Simon. “Ce le restituiranno e molte volte la struttura sarà leggermente differente, spingendoci a sistemare alcune inquadrature”.
“Una volta che l’art torna indietro e qualcuno ha speso un anno costruendo questo livello, possono diventare parecchio permalosi se la mia telecamera passa oltre”, ha spiegato Stephen Peterson. “Cerchiamo di fare del nostro meglio per mostrare il duro lavoro di tutti”.
Nonostante un sistema delle inquadrature così limitante possa influire sulla gestione di una scena dal punto di vista tecnologico, God of War III non corre questi rischi dal momento che i viewpoint sono dinamici, si adattano costantemente al gameplay e puntano in primis a mettere l’utente nella miglior condizione per proseguire il suo percorso.
“La telecamera non è fissa. Sì, è altamente scriptata per consentire un’elevata esperienza cinematografica, ma non si può definire fissa.”, ha voluto precisare il direttore della tecnologia Christer Ericson sul forum di Beyond 3D .
“All’interno del setup dei parametri cinematici ci sono molti spazi per la telecamera di adattarsi all’azione che si sta svolgendo sullo schermo (dove si trova il giocatore, dove sono i nemici, ecc.). Proprio per la quantità di aggiustamenti che il sistema può compiere automaticamente, ci sono davvero poche supposizioni che possono essere fatte su cosa renderizzare e cosa non renderizzare…” “Avremmo potuto facilmente consentire all’utente il pieno controllo della telecamera durante le fasi di gioco. La ragione per cui non l’abbiamo fatto è che sarebbe venuta meno l’esperienza cinematica che abbiamo plasmato con attenzione”. Ericson lo paragona all’implementazione del dolly, utilizzato nella realizzazione dei film, con una telecamera posizionata su un braccio e in grado di muoversi avanti o indietro, zoomare o inclinarsi.
“Quali di questi movimenti verranno effettuati dipende dai parametri che i nostri designer hanno con attenzione messo a punto ma in definitiva è la posizione del giocatore e dei nemici su schermo la vera discriminante. La decisione viene presa durante le fasi in movimento, per ogni frame del gioco determiniamo la posizione e l’orientamento della telecamera. In altre parole, il possibile spazio di movimento per quest’ultima è un volume 3D dalla forma irregolare, non un semplicistico “percorso a scorrimento”. Come regola generale né la posizione né l’orientamento della telecamera in questo volume possono essere predeterminati per ogni specifica fase di gameplay”.
Analizzando il lavoro che intercorre tra gli addetti alle inquadrature e gli altri dipartimenti del team si comprende come, a conti fatti, il mantenimento di quest’esperienza cinematografica sia probabilmente più complesso rispetto a quanto non sarebbe stato lasciare semplicemente il controllo dell’azione nelle mani dell’utente.
“Ogni livello richiede una fase di design delle telecamere che è potenzialmente intrecciato con ogni altro dipartimento, tranne quello deputato ai concept art. Non è un percorso semplice”, ha commentato Phil Wilkins. “L’unico beneficio per le performance è che possiamo concentrare la qualità nella creazione degli asset su ciò che vogliamo. Alcune volte ciò significa che non serve costruire il muro di una stanza. O possiamo eliminare un’area alle spalle che non si può più vedere. Spesso si potrà anche sostituirla con una versione dal dettaglio meno elevato. La gestione è interamente nelle mani degli artist e dei designer”.