Il mercato dell’usato
Un bene, un male o una necessità?
"Parassiti". "Corrotti". "Un problema enorme". "Una situazione critica". "Intollerabile". "Furto".
Parole forti. Uno si aspetterebbe questi commenti nei confronti della pirateria, invece sono stati fatti da alcuni top manager in merito all'usato dei videogiochi. Ed è solo un piccolo esempio, perché il pozzo del malcontento è in realtà ancora più profondo.
Siamo abituati ai commenti dei dirigenti riguardo il mercato della seconda mano. Quelli più moderati di solito scrollano le spalle, sospirano e ammettono che si tratta di una realtà economica. Quelli che invece hanno bevuto molto caffè prima di andare in onda di solito fanno un paragone diretto tra la vendita di seconda mano e la pirateria o il furto.
Anche se il pubblico non condivide, è facile capire il loro punto di vista. Basta entrare in un qualsiasi negozio di videogiochi e, dove una volta avremmo visto un gruppetto di ragazzini esplorare i recessi di un cestone pieno di giochi in edizione economica, oggi troviamo degli scaffali ben ordinati di titoli usati in condizioni ottime.
In alcuni casi è proprio difficile distinguere tra un prodotto nuovo e uno usato, se non fosse per un piccolo adesivo sulla scatola. Gli espositori dove sono messi in mostra i titoli di seconda mano assomigliano in tutto e per tutto a quelli dei prodotti nuovi, anzi, a volte sono posizionati in modo migliore all'interno del punto vendita.
Il contenuto sugli scaffali è lo stesso, con copie di seconda mano che appaiono sul mercato pochi giorni dopo il lancio di un prodotto. Anche il prezzo è simile e l'usato solitamente si vende a poco meno del suo equivalente nuovo di zecca.
Il problema più importante agli occhi dell'industria è che nemmeno un centesimo delle vendite di un prodotto di seconda mano ritorna nelle tasche degli sviluppatori o dei publisher. Il negoziante paga una piccola somma al cliente che gli riporta un gioco usato, tutto il resto (un margine significativo) gli rimane in tasca.
Dal punto di vista del consumatore la situazione è un po' più complicata. I videogame costano. Si può dire ciò che vuole ma la realtà è che quello del giocatore è un hobby veramente dispendioso. Per molti consumatori la possibilità di scambiare un titolo vecchio per uno nuovo o di poter comprare giochi di seconda mano, è l'unico modo per stare al passo con le uscite più recenti.
Il paragone con la pirateria non ha senso per i consumatori: poter vendere un prodotto che è stato acquistato legittimamente sembra una cosa naturale e anche un diritto, situazione che i publisher vedono diversamente, coi più moderati tra loro desiderosi di far sapere ai consumatori che il loro attacco verso il mercato dell'usato non si estende ai videogiocatori.
"Non potrei mai dire che i giocatori sono i nemici, non avrebbe alcun senso", dice Michael Capps, presidente di Epic Games. Il boss Europeo della SEGA, Mike Hayes, descrive i prodotti usati come una realtà del mercato che a lui non piace ma contro la quale non andrebbe.
È però oggettivo un divario tra ciò che i giocatori vogliono fare e ciò che l'industria vorrebbe che facessero. A dimostrazione di questo basta vedere quanti sforzi sono stati fatti per cambiare questa realtà di mercato, nessuno dei quali ha funzionato.
La prima razione è stata tentare di cambiare la legge. Proprio come altre industrie, anche quella dei videogiochi ha cercato di ridurre certi diritti dei consumatori per poter proteggere i suoi profitti.
È il caso del Giappone, dove il mercato dell'usato è ancora più radicato di quello occidentale. Ogni città e ogni quartiere ospitano infatti enormi negozi dell'usato che vendono giochi, DVD, CD, elettronica, giocattoli, ecc.
Il Sol Levante è famoso per i suoi mini appartamenti e per la tendenza a buttare tutto anche se funziona; non ci possiamo stupire dunque della presenza di un florido mercato dell'usato, che l'industria giapponese dei videogiochi sta cercando di far chiudere da tempo.