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Jeffrey Kaplan e la visione dietro a Overwatch - intervista

Altre informazioni sulla nuova IP di Blizzard... e su Titan.

A volersi informare si scoprono cose davvero curiose. Come che Jeffrey Kaplan, game director di Overwatch, è entrato in Blizzard nel 2002 perché era nella stessa gilda di EverQuest di Rob Pardo, Chief Creative Officer del colosso di Irvine fino al 3 luglio scorso, quando poi ha rassegnato le dimissioni.

La storia di Kaplan, altrimenti conosciuto col nick di Tigole, è fatta di alti e bassi. Ha iniziato con l'occuparsi di Warcraft III: Reign of Chaos verso la fine del suo ciclo di sviluppo, quindi è stato Game Director di World of Warcraft. Nel 2009 ha 'abdicato' in favore di Tom Chilton per iniziare a occuparsi di un ambizioso progetto, che si scoprirà poi essere quel Titan recentemente cancellato.

Dalle ceneri di questo fallimento è nato Overwatch, cui abbiamo da poco dedicato un'anteprima qui dalla BlizzCon. Per questa ragione, quando ci si è presentata l'opportunità di scambiare quattro chiacchere col signore in questione, non ci siamo tirati indietro. Di seguito il resoconto di un'intervista che getta una luce non solo sulle idee dietro a Overwatch ma anche sul misterioso Titan.

Eurogamer.it: Ammetto che dopo 17 anni d'attesa, questo era l'ultimo dei giochi che mi sarei aspettato da Blizzard...

Jeffrey Kaplan: Abbiamo degli universi famosi e ben definiti come quelli di WarCraft, StarCraft e Diablo. Per noi era importante esplorare nuove soluzioni, partendo proprio da un futuro che si discostasse dai canoni. Niente catastrofi, niente apocalissi: il mondo di Overwatch è colorante, vibrante, luminoso. È qualcosa per cui vale la pena lottare. E poi c'è il genere: abbiamo pensato di cambiare dedicandoci a uno sparatutto online veloce e dinamico.

Jeffrey Kaplan, game director di Overwatch.

Quanto al fatto che tu non ti aspettassi un titolo come Overwatch... beh, fa parte della nostra storia. Quando lanciammo World of WarCraft ci fu chi storse il naso: "ma come, siete la casa degli RTS e fate un MMO?". E quando abbiamo presentato Hearthstone, è successa la stessa cosa: "un gioco di carte da voi che siete famosi per gli MMO?". Le verità è che da sempre ci facciamo guidare dalla passione e andiamo dove ci porta l'ispirazione.

Con Overwatch proponiamo un FPS 6 vs. 6 essenziale, immediato. Non vogliamo mettere troppa carne al fuoco ma creare qualcosa con cui la gente possa divertirsi da subito. E se l'esperimento avrà successo, sarà una base di partenza dalla quale iniziare a fare cose molto interessanti in futuro. Le porte sono aperte a qualsiasi possibilità.

Eurogamer.it: Senz'altro la passione avrà giocato un ruolo essenziale ma non credo che Blizzard metta sul piatto svariati milioni di dollari per assecondare l'ispirazione del momento. M'immagino piuttosto che abbiate analizzato la fascia di mercato di Team Fortress e intuito qualcosa che gli altri non hanno visto...

Jeffrey Kaplan: Quello che dici è in parte vero ma le cose sono andate diversamente. Mike Morhaime e Frank Pearce sono rispettivamente il presidente e il vicepresidente di Blizzard Entertainment, ma sono anche stati sviluppatori la cui carriera è iniziata con WarCraft. E sanno che solo un team ispirato può realizzare un grande gioco, e che solo un grande gioco può avere successo. Puoi fare tutte le analisi di mercato che vuoi ma se poi non hai l'ispirazione ti ritrovi inevitabilmente a un punto morto.

Quindi prima di tutto abbiamo avuto l'intuizione per Overwatch, poi ne abbiamo discusso internamente e infine ci siamo confrontati con Actvision, che ha una grande esperienza con gli sparatutto in soggettiva. E l'accoglienza è stata ottima.

Tracer è l'elemento di maggior discontinuità con lo stile tipico di Blizzard. Che però, per Kaplan, potrebbe ampliarsi proprio con l'arrivo di Overwatch.

Eurogamer.it: Il filmato introduttivo coi ragazzini, lo stile grafico che strizza l'occhio a Pixar e un universo che stacca nettamente con quelli di Blizzard, lasciano intuire che Overwatch voglia ampliare il vostro usuale bacino d'utenza rivolgendosi anche a un pubblico di giovanissimi. È così?

Jeffrey Kaplan: Il gioco non ha ancora un rating, quindi non so dirti come si collocherà. Di certo non volevamo un titolo per soli adulti, quanto piuttosto qualcosa con cui giocare coi propri figli senza dover temere che vedano scene sconvenienti. Per questa ragione nel gioco non saranno presenti volgarità o riferimenti sessuali. Eviteremo anche la violenza e il sangue ma non per ampliare il bacino d'utenza, quanto per il senso di responsabilità che sentiamo di avere nei confronti del nostro pubblico.

Eurogamer.it: Va detto però che il risultato finale è un gioco che sembra tutto fuorché un titolo di Blizzard...

Jeffrey Kaplan: Personaggi come Torbjorn e Reinhardt credo rientrino pienamente nei nostri canoni. Ma più in generale Overwatch è un prodotto Blizzard a partire dalla gente che è coinvolta nella sua realizzazione, come me e Chris Metzen. E poi c'è lo stile grafico: prendi ad esempio la mappa del Cairo, non vedrai una costruzione con le pareti dritte che sia una, con quello stile che è ormai il nostro marchio di fabbrica. Senz'altro ci sono elementi di rottura come il personaggio di Tracer ma non è detto che questi siano destinati a restare decontestualizzati. Anzi, potrebbero finire per espandere il nostro universo ampliando il concetto di ciò che oggi è Blizzard.

Personaggi come Torbjorn e Reinhardt per Kaplan rappresentano esempi di continuità con lo stile di Blizzard.

Eurogamer.it: Insomma, sentivate il bisogno di fare qualcosa di nuovo...

Jeffrey Kaplan: Non parlerei di bisogno quanto piuttosto d'ispirazione. WarCraft, StarCraft, Diablo: ogni volta che dall'alto ti arriva l'ordina di lavorare a questi giochi ti dai un pizzicotto e ti domandi se davvero ti paghino per fare questo lavoro. Ma nel caso di Overwatch è arrivato il momento in cui ci siamo sentiti pronti per misurarci con un nuovo genere come quello degli FPS.

Eurogamer.it: Lei è stato il responsabile di World of WarCraft fino all'espansione Wrath of the Lich King. Poi si sono perse le tracce fino ad adesso. Com'è stato vivere questi anni lontano dalla ribalta lavorando a un progetto poi cancellato?

Jeffrey Kaplan: Lasciare WoW è stata probabilmente una delle decisioni più difficili della mia vita ma dopo averci lavorato per sei anni e mezzo, volevo seguire altre direzioni. World of WarCraft coinvolgeva persone di grande talento e quando ho lasciato che a occuparsi del progetto fosse Tom Chilton, sapevo che la mia eredità sarebbe stata in ottime mani.

Lavorare per tutti questi anni su un progetto segreto e poi cancellato non è stato facile ma la verità è che ho imparato molto di più da un fallimento, da un totale disastro com'è stato Titan, che non da un successo come World of WarCraft. Ora comunque sono qui a presentare Overwatch in quella che probabilmente è la miglior BlizzCon di sempre, a conclusione di un bel percorso professionale.

Il gameplay di Overwatch lascia intendere l'allargamento del target da parte di Blizzard rispetto a quello di riferimento. Al punto che il PEGI 16, ancorché provvisorio, pare fuori luogo.

Eurogamer.it: Quanto di Titan è rimasto in Overwatch?

Jeffrey Kaplan: Abbiamo preso alcune delle idee che ritenevamo migliori ma TItan era un MMO ad ambientazione futuristica che doveva rivaleggiare con World of WarCraft. Overwatch è un progetto molto più piccolo, con una scala e un respiro ridotti.

Eurogamer.it: Cos'è che non è funzionato con Titan?

Jeffrey Kaplan: Direi tutto. Abbiamo avuto un mucchio di problemi legati alla tecnologia ma non solo. Ci sono quei momenti, come con Overwatch, quando i tuoi colleghi si mettono dietro al computer per vedere ciò su cui stai lavorando e non aspettano che poterlo giocare. Con Titan non è mai successo, non siamo mai riusciti a ottenere un risultato che ci convincesse, che ci facesse pensare che fosse giunto il momento di presentarlo alla BlizzCon. Avevamo tante parti che non riuscivamo a mettere assieme in modo coerente.

Eurogamer.it: E lei però era la persona a capo di questo progetto.

Jeffrey Kaplan: Sono diventato direttore del progetto solamente nell'ultimo anno ma prima ero comunque Lead Designer. Non ne farei però una questione di singoli ma di gruppo. Al lavoro su Titan c'era una squadra di gente d'incredibile talento ma è stato come quando a un'Olimpiade di qualche anno fa il Dream Team americano di basket è andato malissimo. Non mancava certo la bravura a quella squadra eppure è stato un fallimento. Visto il mio coinvolgimento e i miei ruoli, quanto accaduto con Titan provoca in me un misto di vergogna e di rimpianto coi quali dovrò convivere per il resto della mia vita.

Overwatch pone l'accento sulla collaborazione e non sulle kill. Dopo averlo provato, possiamo confermare che ci riesce con successo.

Eurogamer.it: Blizzard è specializzata nel raccontare storie. Ci sarà una narrazione in Overwatch?

Jeffrey Kaplan: Sul biglietto da visita di Chris Metzen trovi le cariche di Creative Director ma anche di Senior Vice Presidente dello Story Development, quindi senz'altro la narrazione sarà importante in Overwatch. Cercheremo però di approfondirla in modo diverso dal solito: non ci sarà una narrazione lineare, né filmati in computer grafica. Spiegheremo tutto in modo contestuale: perché quello stendardo che si trova in un certo livello è strappato e insanguinato? Perché Tracer è nemica di Widowmaker? Ve lo diremo. Il lavorare su una licenza nuova ci permette poi una grande libertà: con altri titoli con un lore già sviluppato, spesso sei vincolato dagli antefatti. Con Overwatch invece possiamo partire da zero, il che per certi aspetti è liberatorio.

Eurogamer.it: Il gioco mostra un passo leggermente più lento rispetto ad altri FPS e pone l'accento sulla cooperazione piuttosto che sulle uccisioni. Forse che con Overwatch vogliate aumentare il raggio d'azione rivolgendovi anche a un pubblico solitamente scoraggiato dagli sparatutto online?

Jeffrey Kaplan: È assolutamente parte della filosofia di Blizzard realizzare giochi facilmente accessibili. Vogliamo proporre esperienze aperte a tutti e facilmente godibili: se ponessimo l'accento sulle uccisioni e sul deathmatch, allontaneremmo molte persone. I videogiochi sono esperienze da condividere insieme agli altri.