Michael Condrey: Call of Duty WWII, e non solo - intervista
Alla Paris Games Week abbiamo passato 30 minuti col boss di Sledgehammer Games.
"Ciao, che piacere rivederti". Mi accoglie così Michael Condrey, chief operating and development officer di Sledgehammer Games, società che ha ragalato ai fan di Call of Duty il capitolo Advanced Warfare, e che ha collaborato con Infinity Ward a Modern Warfare 3. Il luogo dell'incontro è una stanzetta angusta ricavata nel gigantesco boot di Call of Duty alla Paris Games Week , uno dei principali eventi fieristici europei, capace ormai di rivaleggiare con la Gamescom di Colonia.
Il punto però è che non mi pare di averlo mai intervistato prima ma, mi risponde lui prontamente, ci siamo incrociati varie volte negli anni, e questo è vero. Ed è quindi con un sorriso radioso che mi confessa che gli fa sempre piacere ritrovare volti familiari, cosa che ogni tanto mi trovo a pensare anch'io quando, col passare degli anni, i miei colleghi di un tempo vengono rimpiazzati agli eventi stampa da volti di giovani sconosciuti. Ma non è questa la sede per distrarci con le solite considerazione sullo scorrere del tempo, quanto piuttosto per parlare di Call of Duty: WWII insieme a una delle menti che l'hanno concepito. E, magari, allargare il discorso ad altri argomenti.
Eurogamer.it: Nel preparare l'intervista mi sono un po' informato sul tuo passato e ho scoperto cose interessantissime, come ad esempio che ti sei laureato con una tesi in biotecnologia ma che poi sei diventato subacqueo professionista e capitano di una nave. Non proprio il percorso professionale tradizionale per chi voglia diventare "capo operativo e dello sviluppo" nel mondo dei videogame...
Michael Condrey: Grazie per avermelo domandato, non è una cosa di cui parli spesso e ammetto che il mio è uno dei percorsi professionali più insoliti che si possano immaginare. Ero all'università a Seattle e ho iniziato a fare immersioni come passatempo. Ma mi sono innamorato di questa disciplina al punto che mi sono preso un anno sabbatico dall'università e sono andato a fare l'insegnante ai Caraibi. Ero all'isola di Gran Cayman, avevo la mia imbarcazione e la spiaggia era di un bianco accecante. Ero nel posto migliore al mondo per fare immersioni, l'acqua era calda, la visibilità incredibile. Avevo 21 anni e facevo vita da spiaggia!
Ma non mi ero ancora diplomato e sapevo che dovevo tornare indietro a completare gli studi. Avevo promesso ai miei genitori che l'avrei fatto, e quindi sono tornato all'Università del Washington. Una volta conseguito il diploma ho iniziato a domandarmi che avrei fatto dopo: biologia marina? Immersioni? Mentre ci ragionavo ho iniziato un lavoro part-time presso uno studio di sviluppo come assistente di produzione. Era il gradino più basso nella scala gerarchica e facevo del mio meglio per aiutare il team. Nel frattempo stavo proseguendo la mia educazione ma i capi mi dissero che apprezzavano il mio lavoro, che per studiare c'era sempre tempo e che mi volevano in azienda full time. Ed è così che tutto è iniziato vent'anni fa.
Eurogamer.it: Non dev'essere stato facile a quell'età mollare la vita da spiaggia per fare lo sviluppatore a Seattle...
Michael Condrey: I miei genitori hanno sempre sostenuto le mie scelte ma mio padre non aveva potuto andare all'università e mi ricordo che mi disse: "sii quello che vuoi essere, l'importante è che tu sia felice ma almeno finisci gli studi perché ti apriranno tante opportunità. E ogni tanto mi fermo a pensare che se fossi andato alle Bahamas dopo il diploma, e non prima, probabilmente non sarei mai tornato indietro. Ma siccome dovevo ancora finire gli studi e avevo dato la mia parola...
È iniziata così la mia carriera che mi ha visto iniziare presso gli uffici di Seattle di Electronic Arts, dove ho lavorato alle serie FIFA e Need for Speed; la tappa successiva sono stati gli studi di Redwood Shores, dove ho lavorato a un gioco di James Bond, e poi è stato il turno dei Visceral Games per Dead Space. Vent'anni di carriera, i primi dieci con Electronic Arts, gli ultimi dieci con Activision.
Eurogamer.it: Gli ultimi dei quali passati però sempre sulla stessa serie. Avendo lavorato a giochi appartenenti a generi molto diversi, non ti viene mai voglia di cimentarti in qualcosa che non sia un Call of Duty?
Michael Condrey: Da gamer e da sviluppatore, ho molti generi che mi piace giocare e cui vorrei lavorare. Amo gli sportivi, i giochi in terza persona, i giochi di corse, gli indie come Cuphead, i platform come Spyro o gli MMO come World of Warcraft. Ma gli sparatutto in prima persona sono i miei preferiti e ho avuto la fortuna di vederli nascere: ci ho giocato a Doom e ormai sono nel mio DNA.
Eurogamer.it: La chiusura dei Visceral Games immagino t'abbia toccato da vicino. Più che un tuo commento sull'accadimento, mi piacerebbe però sapere che ne pensi della discussione che ne è seguita, ossia che c'è sempre meno spazio per le esperienza single player in un'industry che pare votata ai "game as a service".
Michael Condrey: Una delle cose che più mi affascinano di questo settore è la velocità col quale si evolve. Siamo all'ottava generazione di console, ognuna delle quali ha portato con sé novità. Siamo passati in pochi anni dal 2D al 3D, dalle televisioni normali a quelle tridimensionali, dalla realtà virtuale a quella aumentata. Sono un sostenitore della diversità, più ce n'è e meglio è. Ma per quanto riguarda Call of Duty credo che l'offerta sia già completa, con una ricca campagna single player, la modalità zombie e un forte comparto multiplayer.
Eurogamer.it: Ma guardando al di là del franchise di Call of Duty?
Michael Condrey: Dai giochi indie a quelli tripla A, la nostra è un'industry che presenta un grande dinamismo e che offrirà opportunità che ora non possiamo immaginare. Ma ci sono molte persone che amano le esperienze single player e credo ci saranno sempre giochi per questa importante fetta di mercato.
Eurogamer.it: Guardiamo al futuro della serie Call of Duty. L'episodio di quest'anno, con la sua filosofia "boots on the ground", è stato proposto come una novità rispetto al recente passato ma, per i gamer di vecchia data, si tratta piuttosto di un ritorno alle origini. Cosa dobbiamo attenderci nel futuro di Call of Duty? Una continua oscillazione tra il passato e il 'modern warfare'? O ci sono altri spazi da esplorare?
Michael Condrey: I fan vogliono nuove esperienze e Modern Warfare all'epoca è stata l'innovazione che andavano cercando. E ora lo è quello che giustamente definisci un ritorno al passato. Ma ci sono delle novità come le War Mode o l'Headquarter, che non sarebbero state possibili con la tecnologia di una volta, e lo stesso vale per l'attuale modalità con gli zombie. Treyarch, noi e Infinity Ward siamo impegnati ogni anno a variare l'offerta e Black Ops è un buon esempio delle alternative possibili.
Eurogamer.it: In molti hanno visto in WWII la risposta a Battlefield 1 ma il vostro ciclo di sviluppo triennale esclude questa suggestione. Com'è nato quindi il convincimento di riportare la serie nel passato?
Michael Condrey: Quando abbiamo finito Advanced Warfare ci siamo voluti prendere un periodo di pausa, cercando di riordinare le idee. E abbiamo notato che in quel periodo stavano uscendo film come Elysium, Oblivion e Edge of Tomorrow. Era come se anche Hollywood volesse esplorare il futuro ma non ne avevamo certo idea quando iniziammo a lavorare ad Advanced Warfare. Ora invece che siamo usciti con WWII, constatiamo che al cinema c'è stato un ritorno alla Seconda Guerra Mondiale con Dunkirk e altri film in arrivo. Non so quali siano le ragioni dietro questi trend che vedono noi e Hollywood andare di pari passo, per quanto ci riguarda volevamo solo raccontare una storia molto personale e la Seconda Guerra Mondiale ci è sembrato il periodo migliore in cui ambientarla.
Eurogamer.it: Call of Duty è un gioco molto importante nella scena degli esport ma devo dire che la recente piega futuristica lo rendeva difficile da seguire. L'azione era piuttosto frenetica, e gli stessi i caster facevano fatica a stare al passo. WWII ha invece un ritmo più lento, che lo rende anche più 'leggibile'. Ha forse pesato anche questa valutazione nella scelta di riportare la serie 'boots on the ground'?
Michael Condrey: Non avevamo in mente gli esport quando abbiamo pensato a WWII ma sono d'accordo con te, gli ultimi Call of Duty non erano facili da guardare. Non so quanto possa essere accurata come analogia ma suppongo che ti piaccia guardare il calcio. Ora immagina di guardare l'intera partita attraverso gli occhi di un solo calciatore, che corre a velocità massima per il campo: sarebbe ben difficile seguire l'andamento del match, no? Ecco perché in WWII abbiamo introdotto una nuova telecamera grazie alla quale osservare gli scontri dall'alto, proprio come accadrebbe in una partita di calcio. Questo, unitamente all'essere tornati 'boots on the ground' e al ritmo un po' più compassato dovuto alla mancanza dei salti, credo che renderà l'esperienza di gioco molto godibile da guardare.
Eurogamer.it: La vita di ogni Call of Duty è ormai standardizzata: esce il prodotto principale, poi i DLC con le nuove mappe e infine si aspetta il capitolo successivo. Ho provato a immaginare come si potrebbe rinnovare realmente la serie e non mi dispiacerebbe un gioco che si ispirasse a Destiny, una sorta di MMO in cui si combatte costantemente e quotidianamente ad esempio contro i Nazisti insieme ad altri commilitoni. Tu invece, dovessi rinnovare la serie, cosa faresti?
Michael Condrey: Creativamente vogliamo fornire contenuti ai nostri fan fino a quando avranno voglia di Call of Duty. Per quanto riguarda WWII abbiamo cose molto interessanti in arrivo nei nostri DLC come nuovi War Mode e nuove mappe per gli zombie. Ed espanderemo anche la storia della nostra campagna, magari, ma sto giusto facendo un ipotesi eh?, ma forse, giusto per dire eh?, anche in Italia. Ma non confermo né smentisco (e dalla faccia del PR a fianco, la sensazione è Condrey abbia detto più del dovuto, ndSS). Quanto alla possibilità di trasformare il gioco in un mondo persistente, si tratta di un genere di cui si fa un gran parlare al momento e credo faccia parte della naturale evoluzione della nostra industry.
Eurogamer.it: Restiamo nell'ambito dell'evoluzione dell'industry. Lei è stato recentemente coinvolto in delle polemiche su Twitter per l'assenza della svastica in WWII. Ma negli ultimi tempi abbiamo assistito anche a polemiche sulla violenza sulle donne nel trailer di The Last of Us 2, sulla violenza domestica di Detroit: Become Human, sul presunto colonialismo di Mass Effect Andromeda, lo schiavismo di Shadow of War, oltre ad accuse di molestie sessuali avvenute presso alcuni publisher. Mi sembra che si respiri ormai un'aria decisamente tossica nel nostro settore e m'interesserebbe sapere la tua opinione al riguardo.
Michael Condrey: Gli sviluppatori di Sledgehammer Games, e parlo di oltre 300 persone di religioni e orientamenti diversi, che vivono in una città aperta come San Francisco, pensano solo a realizzare i migliori giochi per i loro fan. A raccontare storie che, come in questo caso, onorano un evento come la Seconda Guerra Mondiale, un periodo oscuro di morte e segregazione.
Allargando il discorso al di fuori di Call of Duty, credo che i videogiochi siano capaci di suscitare grandi passioni, che però possono prendere le direzioni sbagliate e creare energie negative. L'unica cosa che proprio non mi sta bene è quando attaccano persone che lavorano duramente, o quando vengono usati toni aggressivi o inappropriati. Ma ci sono anche molte persone che esprimono la loro passione con correttezza, in modo propositivo. In generale, però, posso dirti che il giorno che non hai fan e che quello che fai non provoca alcuna reazione, allora è meglio cambiare mestiere.