Muramasa: La Spada Demoniaca
La differenza tra forma e sostanza.
Se una quindicina di anni fa mi avessero chiesto di immaginare i videogame del futuro avrei probabilmente concepito (complici anche le mie limitate capacità analitiche di undicenne) qualcosa di molto, molto simile a Muramasa: grafica allucinante e rigorosamente bidimensionale, agguerriti boss di fine livello e gameplay non troppo articolato.
Il corso storico dell'evoluzione del medium ha per fortuna seguito altri percorsi, eppure paradossalmente il problema principale dell'ultima produzione made in Vanillaware sta proprio nel suo essere pericolosamente simile alle mie deliranti fantasie di moccioso.
Muramasa è infatti un action sì impreziosito da una componente estetica pressoché prossima all'Assoluto (quello divino con la lettera maiuscola), ma è anche al tempo stesso un titolo intrinsecamente vecchio dentro, vincolato a dinamiche oggigiorno superate e persino vagamente indigeste.
Certo, una ristretta nicchia hardcore (nella quale comunque una parte di me si riconosce) potrebbe definirlo con una perifrasi un po' paracula tipo “compiaciutamente old school”
Al tempo stesso dubito che l'utente medio, diciamo la casalinga di Voghera del videogame (anche se visto che si parla di Wii c'è poco da scherzare con le casalinghe...), possa perdere la testa nel 2009 dinnanzi ad un prodotto che fa della ripetitività ossessiva e del backtracking la sua filosofia di vita.
Fondamentalmente Muramasa è infatti strutturato come una serie di numerosissimi quadri (davvero il termine più indicato vista la stupefacente qualità artistica degli scenari...) da attraversare: si entra a sinistra e si esce a destra (o viceversa), fino ad arrivare dopo una ventina di pannelli alla fine del livello e a ricomparire in quello successivo.
Si viaggia dunque con spostamenti rigorosamente lineari su una mappa punteggiata di numerose città-livello, anche se il level design dei singoli stage è di fatto praticamente nullo.
Certo, potreste trovarvi a muovervi sui rami di una foresta incantata piuttosto che lungo una scogliera stritolata dal gelo, ma è bene attendersi una successione di stanze vuote piuttosto che un complesso intrico di ramificazioni in stile Metroidvania.
A fare da collante all'insieme un combat system "come quelli di una volta", basato su 2 soli tasti (anzi in realtà sarebbe meglio dire su un tasto e mezzo, contando che la B si usa solo per le special) e fondamentalmente privo delle elaborate combo di un The Dishwasher a caso.
Non che la cosa si traduca necessariamente in un difetto: la varietà di attacco è onestamente limitata, eppure il ridotto numero di mosse non solo vi costringerà a battervi con astuzia e misura, ma vi ricorderà anche in maniera piacevolmente malinconica le meccaniche picchia-picchia di struggenti classici anni '90.