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Non dobbiamo più fuggire dalla dipendenza da videogiochi - editoriale

Affrontiamo il problema per maturare come community.

Ciao, mi chiamo Wesley e avevo una dipendenza da World of Warcraft.

Non sto parlando di cose del tipo 'ho giocato moltissimo a questo gioco perché è divertente', no, sto parlando di qualcosa che, effettivamente, ha rischiato di rovinare la mia vita per sempre. Tenetevi forte, le cose stanno per diventare serie.

All'inizio del 2005 ho iniziato a giocare a World of Warcraft con un po' di amici. Vivevo nella casa della mia famiglia nel sud di Londra con la mia ragazza, con cui sono stato per più di cinque anni. Stavo cercando di costruirmi una carriera come giornalista in un giornale mainstream della domenica ma mi è stato detto che, per progredire, avevo bisogno di studiare parecchio la materia. A quel punto ho mollato il lavoro al giornale, ho trovato un posto come analista freelance per raccimolare qualche soldo e ho pensato di iniziare a frequentare un corso di giornalismo.

Nel frattempo, World of Warcraft è diventato sempre più importante per me e ho iniziato ad investirci sempre più tempo. Ho pensato a lungo, approfonditamente al perché tutto questo sia successo. Certo, sicuramente il fatto di non voler essere lasciato indietro dagli amici ha giocato una parte fondamentale: per me era davvero importante non perdere il passo con loro mentre livellavamo freneticamente e divoravamo l'endgame in cerca di loot. D'altra parte, però, mi stavo davvero divertendo. World of Warcraft è stato il mio primo MMO: sono rimasto estasiato dal suo mondo, da quei colori, dal fatto che potessi loggare in qualsiasi momento del giorno o della notte e sapere che avrei trovato qualcuno degli amici online pronto a chiacchierare su TeamSpeak. World of Warcraft è stato il miglior gioco del mondo per un lungo periodo e io ne ero profondamente innamorato.

Ben presto, tutto quello che facevo nella mia vita era giocare a World of Warcraft. Giocavo tutta la notte e tutto la mattina successiva. La mia ragazza si svegliava la mattina per andare a lavorare e mi trovava ancora a giocare. Mentre il resto della famiglia si svegliava, io stavo pensando di andare a dormire anche se, molto spesso, non facevo nemmeno quello. Dormivo per qualche ora durante il giorno, poi mi svegliavo per cena, prendevo qualcosa di veloce da mangiare (anche un barattolo di fagioli, per fare presto) e tornavo online. La mia ragazza tornava a casa dal lavoro, mi salutava ma io ero troppo impegnato in World of Warcraft per prestarle la giusta attenzione. In fondo dovevo partecipare ad un raid e i nostri tank non si sarebbero curati da soli.

Mi sono divertito come mai in tutta la mia vita, giocando a World of Warcraft.

Ho iniziato a non andare a lavoro dicendo che ero malato e a mentire per andare via in anticipo dall'ufficio l'unico giorno alla settimana in cui andavo. Facevo ancora l'analista di dati, nei ritagli di tempo, ma, andando avanti, anche quell'occupazione svanì. In banca il mio conto era in rosso e ho iniziato a pagare le bollette con la carta di credito. I soldi non avevano importanza finché potevo permettermi di pagare l'abbonamento mensile al gioco.

Non mi rendevo conto di cosa stesse succedendo. La mia famiglia continuava a ripetermi che c'era qualcosa che non andava nel mio stile di vita e la mia ragazza... beh, diciamo che nemmeno lei era tanto contenta. Il tempo che passavo nel gioco causava discussioni, liti e spesso si arrivava a sbattere le porte. In quel momento non sapevo di essere dipendente da World of Warcraft: se qualcuno me l'avesse detto a quei tempi gli avrei riso in faccia. Ora, invece, quasi dieci anni dopo, credo di esserlo stato davvero. Credo di essere stato dipendente da World of Warcraft.

È proprio a causa della mia esperienza con World of Warcraft che la paura istintiva dell'industria videoludica nei confronti della nuova 'dipendenza da videogiochi' ufficializata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità mi ha fatto un po' arrabbiare. Ho scosso la testa mentre leggevo la dichiarazione congiunta, redatta da varie organizzazioni commerciali, che invitava l'OMS a rinunciare alla sua proposta di includere la dipendenza da videogiochi nella versione finale della Classificazione Internazionale delle Malattie. In effetti, ho trovato la cosa abbastanza imbarazzante.

La definizione di 'dipendenza da videogiochi' dell'OMS mi sembra abbastanza ragionevole. La corrente versione dell'ICD-11 (l'undicesima versione della Classificazione Internazionale delle Malattie) definisce un individuo dipendente da videogiochi come:

"Caratterizzato da abitudini videoludiche persistenti o ricorrenti legate a giochi online o offline che si manifestano come: 1) perdita di controllo sul gioco (ad esempio sulla frequenza, sull'intensità, sulla durata, sul contesto); 2) crescente priorità data ai videogiochi che arrivano ad avere la precedenza su tutti gli altri aspetti e interessi della vita e sulle attività quotidiane; 3) continuazione o escalation dei videogiochi, nonostante l'insorgenza di conseguenze negative.

"Il modello comportamentale è sufficientemente grave da causare una compromissione significativa delle aree di funzionamento personali, familiari, sociali, educative, professionali e di qualsiasi altro tipo. Il comportamento legato al gioco può essere continuo o episodico e ricorrente. Altre caratteristiche sono normalmente evidenti per un periodo di almeno 12 mesi al fine di assegnare una diagnosi, ma la durata richiesta può essere abbreviata se tutti i requisiti diagnostici sono soddisfatti e i sintomi sono gravi."

Assomiglia parecchio a ciò che ho provato io con World of Warcraft.

Nel 2005 ho giocato parecchio a World of Warcraft e Tony Blair ha ricevuto il terzo mandato come primo ministro, per vostra informazione.

Perché la community dei videogiochi, l'industria videoludica, le organizzazioni del commercio e molta gente sui social media sono così preoccupate della definizione di 'dipendenza da videogiochi' dell'OMS? Abbiamo paura che potrà subentrare una sorta di censura, qualche tipo di intervento da parte del governo? Se la dipendenza è reale, potrebbe saltare fuori una legge che impedirà agli sviluppatori di creare i giochi che conosciamo e amiamo?

Anche se fosse questo il caso, chiedere all'OMS di rinunciare a classificare la dipendenza da videogiochi come qualcosa di reale è qualcosa di così stupido da fare sembrare l'intera industria incredibilmente infantile. È qualcosa che rinforza la retorica del ragazzino che gioca in completa solitudine in un antro della propria cameretta che pensavo ci fossimo lasciati alle spalle. I videogiochi sono brillanti, divertenti e hanno un valore educativo, terapeutico e ricreativo, proprio come viene sottolineato in questa dichiarazione congiunta, ma sono anche complessi, spesso problematici, qualche volta cinici e occasionalmente approfittatori.

In fondo, credo che la reazione alla dipendenza da videogiochi dell'OMS sia dovuta alla paura di affrontare una scomoda verità legata al game design. Celebriamo giochi che creano dipendenza ma ci rifiutiamo di ammettere che diano assuefazione nonostante siano stati sviluppati con quel preciso intento in mente. Gli sviluppatori vogliono che diventiate dipendenti dai loro giochi, il che è comprensibile perché se la gente si appassiona così tanto al tuo gioco vuol dire che è davvero fantastico. Il grinding, il loot, le scatole premio, salire di livello, la progressione infinita, il prestigio, i battle pass, i punti esperienza, i numeri, i numeri e ancora numeri: tutto sommato sono loro il cuore dei giochi più popolari del momento. Ci tengono nel gioco, ci tengono impegnati, ci fanno prendere a cuore il gioco al punto di volerci investire ancora. Visto in questa prospettiva, sembra ragionevole pensare che la definizione di 'dipendenza da videogiochi' possa essere utile da discutere. Non parlare a fondo di questa nuova introduzione dell'OMS non è una buona idea.

Sembra che l'OMS consideri la dipendenza da videogiochi come qualcosa di davvero grave.

L'industria dei videogiochi, dal canto suo, cita la preoccupazione di alcuni accademici che l'inclusione della dipendenza da videogiochi dell'OMS possa condurre a un “genuino rischio di abuso di diagnosi” ed è per questo che il “livello di prove per dare un verdetto deve essere estremamente elevato”. È giusto dire che bisogna approfondire le ricerche ma quella dichiarazione sembra la parte di Star Wars in cui Obi-Wan Kenobi muove la mano e esegue il trucco mentale Jedi sugli Stormtroopers: l'industria vuole semplicemente che la dipendenza da videogiochi vada via. Ci stiamo preoccupando di più delle conseguenze di questa inclusione, piuttosto che farci due domandi sulla sua reale esistenza.

Sarebbe più maturo, da parte dell'industria, ammettere che non tutto ciò che è legato ai videogiochi sia rose e fiori. Qualche volta le cose vanno per il verso sbagliato, qualche volta gli sviluppatori e i publisher fanno degli errori, si spingono troppo oltre e producono giochi discutibili. A volte quegli stessi giochi entrano in contatto con persone che hanno un certo tipo di personalità, una certa vulnerabilità o sono semplicemente pigri, cercano una via di fuga o stanno cercando di riempire un vuoto o arrivano a pensare che World of Warcraft sia la cosa migliore che esista al mondo ed è qui che le cose possono iniziare ad andare molto male. Piuttosto che negare l'esistenza della dipendenza da videogiochi, analizziamola, chiediamoci il perché e come nasca, se possa aiutarci a scoprire le problematiche innate delle persone e, cosa più importante, chiediamoci se dobbiamo aiutare coloro che ne sono affetti a superarla.

Non dimenticherò mai l'ultimatum che mi è stato dato dalla mia ragazza: me o il gioco, ha detto. Adesso siamo sposati, con figli e siamo più felici che mai. Sono stato fortunato a sfuggire? Non guardo al mio tempo passato con World of Warcraft con disprezzo, non incolpo Blizzard delle mie azioni e non mi vergogno di nulla. Mi sono divertito da matti a giocarci, quante risate che ci siamo fatti! Adesso, però, accetto quel periodo della mia vita per quello che era: una dipendenza dai videogiochi che mi era sfuggita di mano e che sono riuscito a fermare prima del punto di non-ritorno.

Fare finta che non sia mai successo non è solo sbagliato, è anche pericoloso.