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Patrick Plourde e il sogno americano di Ubisoft - intervista

L'uomo dietro la Fun House di Ubisoft, dove ogni gioco può diventare il nuovo Assassin's Creed.

Sono giorni importanti quelli che sta vivendo Ubisoft. Dopo essere uscita anni fa dal mondo dei videogiochi, Vivendi è sempre più intenzionata a rientrarvi, e dalla porta principale. Ecco perché dopo aver recentemente assunto il controllo di Gameloft, la multinazionale francese sta ora tentando la scalata all'azionariato di Ubisoft.

Nel corso dell'evento tenutosi pochi giorni fa a Parigi, la casa di Assassin's Creed nel festeggiare il suo trentennale ha tenuto a mostrare alla stampa come lavora, le sue metodologie e i suoi obiettivi. Quasi a voler tracciare una netta linea di demarcazione tra il presente e il futuro, nella speranza che sia sempre in grado di deciderlo in autonomia.

In questa sede ho avuto il piacere d'intervistare Patrick Plourde, vicepresidente di Fun House, la divisione di Ubisoft Montreal che si occupa d'incubare idee interessanti e di trasformarle in videogiochi. Da qui sono usciti piccoli capolavori come Child of Light e Valiant Hearts, titoli capaci di distinguere Ubisoft dalla concorrenza, maggiormente focalizzata sulle grandi produzioni.

Grazie a questa divisione qualsiasi idea, anche dei dipendenti di Ubisoft, ha la possibilità di diventare il nuovo Assassin's Creed. Una specie di sogno americano applicato ai videogiochi, che sarebbe stato un peccato non approfondire con l'uomo che vi sta dietro.

Patrick Plourde in un'immagine di Forbes.

Eurogamer.it: In quanto responsabile della Fun House di Ubisoft, come stai vivendo questo periodo dove una possibile acquisizione di Vivendi potrebbe compromettere il tuo apporto creativo all'azienda?

Patrick Plourde: Non c'è nulla che possa fare e quindi non mi resta che fare il mio lavoro. Il che peraltro è quello che ci ha detto di fare Yves Guillemot (cofondatore e CEO di Ubisoft, ndR) in questo periodo, ossia di focalizzarci sui nostri obiettivi e di continuare sulla strada che ha portato Ubisoft a essere una grande azienda.

Eurogamer.it: Durante la presentazione hai insistito sull'importanza per Ubisoft di essere "diversa". Puoi spiegare meglio cosa intendevi?

Patrick Plourde: Mi riferivo a una differenza di tipo culturale. Noi siamo una compagnia europea, più precisamente francese, ed è questo ciò che ci deve differenziare rispetto ai nostri concorrenti americani o giapponesi.

Eurogamer.it: Facciamo chiarezza: senti Ubisoft più francese o più europea?

Patrick Plourde: Io sto a Montreal e ci sono numerosi elementi nell'azienda riconducibili alla cultura francese, che poi si riflettono sul modo in cui essa è strutturata e ragiona. Credo che Ubisoft rappresenti una voce molto importante e unica nel panorama mondiale. Basti pensare a un prodotto come Assassin's Creed, che sarebbe stato impensabile per chiunque avesse avuto un background culturale diverso dal nostro, visto che il gioco è ambientato in un periodo storico, quello delle Crociate, poco popolare al di fuori dell'Europa. Assassin's Creed è un titolo che ha una sua eleganza a livello di design e che nessuno è riuscito, ma forse non ha neanche provato, a imitare.

La realtà virtuale, secondo Patrick Plourde, esordirà con problemi di natura tecnologica e di mercato. E per vedere un tripla A in VR dovremo attendere...

Eurogamer.it: La realtà virtuale si preannuncia un punto di svolta non solo tecnologico ma anche creativo, capace di ridefinire il linguaggio dei videogiochi. Eppure, allo stato attuale, i prodotti che la rappresentano sono dimostrativi o giochi concettualmente arretrati, tant'è che per camminare si usano ancora i warp tipici delle avventure grafiche degli anni '90. È tutto qui ciò che ha da offrire la VR?

Patrick Plourde: Con la VR ci sono due problemi. Il primo è il problema fisico che deriva dall'avere un visore che dà l'illusione di un movimento che poi non corrisponde alla realtà. Il risultato sono sensazioni come il disorientamento o la nausea, e fino a quando non riusciremo a risolverli saremo costretti a usare certi espedienti. Il secondo problema è di budget: il mercato della realtà virtuale è al momento ancora troppo piccolo, parliamo di un milione di utenti ripartito su tre piattaforme. E fino a quando i numeri saranno questi, è difficile aspettarsi prodotti più ambiziosi. Per avere l'Uncharted della realtà virtuale dovremo attendere almeno un installato di 30 milioni.

Eurogamer.it: Per uscire da questa empasse credi che supportare il VR all'interno di franchise già esistenti potrebbe essere una soluzione? Immagino che Assassin's Creed o Watch Dogs declinati in tal senso potrebbero ampliare notevolmente l'installato.

Patrick Plourde: Qui interviene un problema di natura tecnica. Per i risultati ideali parliamo di una renderizzazione a 2K di risoluzione che giri a 60 fotogrammi al secondo per occhio, cioè 120 fotogrammi al secondo in tutto. Qualcosa che neanche la PlayStation 4 Pro è in grado di offrire e che, per un titolo come Watch Dogs, richiederebbe eccessivi sacrifici tecnici. Per quello che dici tu dovremo probabilmente aspettare la prossima generazione di console...

Nel corso dell'intervista tenutasi qualche settimana fa al PlayStation Meeting di New York, Jim Ryan di Sony ha insistito sul fatto che la normale PlayStation 4 sia pronta per la realtà virtuale. Patrick Plourde invece la vede diversamente...

Eurogamer.it: Il che è molto interessante, visto che durante la mia intervista in occasione del PlayStation Meeting, Jim Ryan (presidente e CEO di Sony Computer Entertainment Europe) ha dichiarato che la normale PS4 è già pronta per la realtà virtuale...

Patrick Plourde: Le limitazioni tecniche sono quelle che ti ho detto. Ma è anche vero che PlayStation 4 Pro offrirà i 4K grazie all'upscaling, quindi magari [Jim Ryan] aveva in mente una soluzione di questo tipo.

Eurogamer.it: Possiamo quindi aspettarci uno dei cavalli di battaglia di Ubisoft in VR semplicemente upscalando un segnale video inferiore ai 2K?

Patrick Plourde: Certamente non Watch Dogs 2.

Eurogamer.it: Il futuro delle console pare verrà combattuto attorno ai 4K e all'HDR. Qual è la tua lettura della next-gen dal punto di vista creativo? Vedremo sempre le stesse meccaniche solo a una risoluzione più alta o possiamo attenderci qualcosa di nuovo?

Patrick Plourde: L'importante è evitare che l'attuale e le prossime generazioni di console abbiano un ciclo vitale lungo quanto quella della PlayStation 3 e dell'Xbox 360, che sono durate troppo. E anche che venga a mancare la retrocompatibilità col passato, un tema sul quale sono piuttosto sensibile anche perché i porting non sono la stessa cosa. Detto questo, se le console dovessero avvicinarsi al modello di business incrementale degli smartphone, dove ogni anno esce una versione più potente di quella precedente ma capace di garantire la retrocompatibilità, per me andrebbe bene. Anche perché mi permetterebbe di avere una migliore tecnologia con cui confrontarmi.

4K e HDR sono il prossimo terreno di scontro tra Sony e Microsoft e, dal punto di vista creativo, la sensazione è che a risoluzioni più alte non corrispondano maggiori stimoli creativi. Patrick Plourde però inserisce nell'equazione un'altra variabile...

Eurogamer.it: Il senso della mia domanda era un altro: pensi che 4K e HDR cambieranno in alcun modo il tuo lavoro di creativo?

Patrick Plourde: La nuova generazione di console insisterà su una grafica migliore ma il punto è ciò che la sottende, ossia la maggiore potenza di calcolo. E con essa si possono fare cose molto interessanti, come creare delle intelligenze artificiali migliori di quelle attuali, con conseguenze facilmente immaginabili...

Eurogamer.it: Cos'altro che ti attrae della prossima generazione di console?

Patrick Plourde: La fluidità. Per quanto mi riguarda i 60 fotogrammi al secondo sono molto importanti e anche se non sono qualcosa di immediatamente avvertibile come una risoluzione più alta o un'esplosione più dettagliata, hanno ripercussioni molto importanti sul gameplay.

Eurogamer.it: La Fun House di Ubisoft, di cui sei vice presidente, s'è finora occupata di realizzare progetti di piccole dimensioni. Non mi è però chiaro quali aspettative abbia un gioco incubato dalla Fun House: può diventare il prossimo Assassin's Creed o al massimo il nuovo Child of Light?

Patrick Plourde: L'ambizione della Fun House non è realizzare giochi tripla A. Ciò non toglie che sia possibile togliersi delle soddisfazione anche al di fuori di questa categoria. Penso ad esempio a Just Dance, che ha un suo team dedicato e che viene venduto a 60 dollari. Quanto al nuovo Assassin's Creed, c'è tutto il resto di Ubisoft Montreal che è più adatta a realizzarlo. Ma siccome ogni gioco approvato della Fun House viene mostrato ai vertici della società, tra cui lo stesso Yves Guillemot, virtualmente non ci sono limiti.

Patrick Plourde ha lavorato ad Assassin's Creed fino a Brotherhood. E chissà che non torni a farlo...

Eurogamer.it: Hai lavorato ad Assassin's Creed fino a Brotherhood: come valuti la direzione che ha preso la serie da lì in poi?

Patrick Plourde: Ho delle opinioni ma preferisco tenerle per me. D'altronde non mi piacerebbe che un altro direttore creativo si esprimesse sul mio operato.

Eurogamer.it: Ma torneresti a lavorare su un franchise così importante?

Patrick Plourde: Quando si è concluso Brotherhood ero completamente esaurito, non solo fisicamente ma soprattutto creativamente. E ho sentito il bisogno di allontanarmi dalla serie, al punto che non ho giocato né il terzo né il quarto Assassin's Creed. Anzi, a dire il vero è da molto che non ne gioco uno. Ma per strano che possa sembrare, adesso ho molte idee per quello che potrebbe essere un nuovo capitolo della saga.