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Peter Molyneux

I limiti del game design, la next-gen, il suo prossimo gioco "follemente ambizioso" e Project Milo.

Eurogamer: Sempre con Microsoft?

Peter Molyneux: Beh, la mia compagnia è stata acquistata da Microsoft, quindi…

Eurogamer: Lo so, ma dopo quello che mi hai detto di Milo sarei sorpreso se stavolta ti approvassero un progetto “follemente ambizioso”…

Peter Molyneux: Capisco il tuo punto di vista ed è per questa ragione che sono incredibilmente nervoso solo a parlarne, almeno fino a quando non avrò il semaforo verde a procedere con lo sviluppo.

Eurogamer: Sarà sempre un gioco di ruolo o apparterrà a un altro genere?

Peter Molyneux: Credo che per definire ciò che ho in mente si dovrebbe creare un nuovo genere per l’occasione. Anche lo stesso modo in cui stiamo sviluppando questo gioco è del tutto diverso dal solito. Per Fable sono stati scritti un mucchio di documenti, che hanno coinvolto molte persone sin dall’inizio. Con questo titolo vogliamo fare qualcosa di diverso, che non sia mai stato fatto prima.

Eurogamer: Lo sai che questo è ciò dici sempre dei tuoi titoli, sì? I tuoi fan saranno particolarmente critici dopo affermazioni come questa…

Peter Molynex in compagnia di Ranieri Polese del Corriere della Sera e di Paolo Paglianti di Editoriale Duesse.

Peter Molyneux: Sì, lo so, ma quando inventi qualcosa, quando pianifichi un titolo prima ancora di poterlo provare, devi provare a immaginare cosa vorrà dire giocarlo, prendere un prototipo e continuare a provarlo fino a quando non ne esce fuori un videogame. Quando sei finalmente soddisfatto di quello che hai da offrire, non per le feature ma per la sua struttura, allora puoi veramente dire di avere per le mani qualcosa.

Eurogamer: Sei uno degli ultimi superstiti di una generazione di game designer che si è dissolta col passare del tempo. Quale credi sia la ragione per cui tu ce l’hai fatta e gli altri no? E cose ne pensi dell’ultima generazione di game designer?

Peter Molyneux: Credo che la ragione per cui io sono ancora qui è che ho in mente un videogame ideale, che mi piacerebbe realizzare ma che non ho ancora creato. E credo che probabilmente tra vent’anni sarà ancora la stessa cosa, con me su una sedia a rotelle mentre inseguo l’ambizione del gioco definitivo.

Quanto alla seconda parte della tua domanda, c’è una nuova ondata di game designer e la stampa ha il dovere di lasciar loro il tempo di crescere e di sviluppare le proprie idee e capacità, perché sono loro che possono prendere questo settore e portarlo verso gli orizzonti che lo attendono.

Eurogamer: Nel corso del tuo discorso hai mostrato quelle che sono state le tue fonti di ispirazione, ovvero quei giochi che si facevano da piccoli quando la tecnologia non era quella di oggi. Nelle slide che scorrevano sullo sfondo, hai mostrato una foto di tuo figlio con in mano una console portatile. Al di là degli strumenti a disposizione, come sono cambiate a tuo modo di vedere le fantasie dei bambini di oggi rispetto a quelle di un tempo? Sono le stesse o l’immaginario è stato plasmato dalla tecnologia?

Oppure, vedendo la domanda da una prospettiva opposta: se tu fossi un bambino oggi, svilupperesti ancora Populous un domani?

"La cosa peggiore è farsi bombardare dall’immaginario di qualcun altro senza che ci ispiri in alcun modo. "

Peter Molyneux: Quando guardo mio figlio vedo che ha accesso a una tecnologia che, quand’ero piccolo, potevo solo immaginare. Le sue fantasie però sono più o meno le stesse che avevo io. Ha un’immaginazione molto fervida che lo porta a divertirsi magari di più con due bastoncini legati assieme che non con un giocattolo fatto e finito, che gli suggerirebbe un immaginario prestabilito.

Costruisce dei mondi che posso solo intuire e, quando lo faccio, ne resto meravigliato. E non dico questo perché è mio figlio, credo sia una caratteristica di tutti i bambini: sono dei piccoli game designer cui piace immergersi in universi che modellano sulla base delle loro esigenze. Il che è poi il cuore di quella che poi la mia professione, di tutti i concept dei miei giochi.

Purtroppo questa è una dote che ve perduta quando si cresce. Iniziamo a mettere in discussione i nostri mondi, non ci crediamo più, né ci divertono. E poi accade quello che secondo me è la cosa peggiore, ovvero ci sediamo davanti a una televisione e ci facciamo bombardare dall’immaginario di qualcun altro, facendoci “lavare” dai sogni degli altri senza che ciò ci ispiri in alcun modo. Il che è proprio quello che i bambini non fanno mai: loro prendono le storie altrui e le rielaborano.

Tornando alla tua domanda, allora, spero che mio figlio da grande sia capace di portare avanti quegli stessi mondi della sua infanzia, e… che non perda quella crudeltà che avevo io da piccolo nei confronti delle formiche.

Avatar di Stefano Silvestri
Stefano Silvestri: Il suo passato è costellato di tutto ciò che è stato giocabile negli ultimi 40 anni. Dal ’95 a oggi riesce a fare della sua passione un mestiere, non senza una grande ostinazione e un pizzico di incoscienza.

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