Intervista a POW3R: gaming, esports, streaming e un'Italia che cambia
In occasione del lancio della serie Di4ri di Netflix Italia abbiamo intervistato Giorgio POW3R Calandrelli.
Milano, fine maggio. Il termometro segna 31 gradi, ma l'asfalto della città sembra farne registrare una quarantina. Sotto la pensilina della fermata del tram numero 16, poco distante da una scuola del quartiere, si siede Giorgio POW3R Calandrelli. Lui è il volto del gaming in Italia. Suona la campanella, e le aule delle medie si svuotano. Nei corridoi inizia a girare una voce: c'è POW3R alla fermata del tram. È finita: orde di studenti si precipitano sui marciapiedi roventi per andare a scambiare due chiacchiere con uno fra gli streamer più importanti del paese, gli chiedono di scattare una foto, di stringergli la mano. Ma non solo loro: ci sono persone di tutte le età che lo riconoscono dopo un semplice sguardo. E lui come sempre sorride.
In occasione del lancio della serie Netflix Kids Di4ri, la prima serie tv pre-teen italiana della piattaforma che racconta le vicende, i problemi e i sogni di un'intera classe delle scuole medie, abbiamo incontrato Giorgio Calandrelli. E lui è la persona che ormai da oltre dieci anni - quando impugna un controller o un mouse - si trasforma in POW3R: 1,9 milioni di follower sul solo Twitch, stella assoluta della storica organizzazione esport Fnatic con sede a Londra, il creator che per primo ha infranto il muro dei 70.000 spettatori simultanei in occasione della presentazione di Fortnite 11.
Ma la vita di POW3R non è sempre stata così, fatta di record di pubblico e di foto con i fan. È stato un percorso lungo, lunghissimo, quello che dal joypad a tricorno del Nintendo 64 l'ha portato fino alle competizioni esportive più importanti del mondo. Quattro mondiali, cinque europei, otto major, un numero incalcolabile di minor, anni e anni di allenamento incessante su otto titoli differenti: Giorgio è stato uno dei primi veri pro-player del paese, una delle pochissime persone che in tempi non sospetti sono riuscite a fare del videogioco competitivo una professione a tutti gli effetti.
E così, in quella torrida giornata di fine maggio, accanto a quella pensilina del tram numero 16, ci siamo seduti a un tavolino per parlare di gaming, di esport, del futuro dei ragazzi che sognano una carriera in questo mondo. Ecco cosa ci ha raccontato Giorgio POW3R Calandrelli.
Eurogamer: Tra i ragazzi che sono qui oggi, che sono cresciuti fin da bambini con Fortnite e League of Legends, c'è anche il POW3R di domani? Che idea ti sei fatto di questa generazione?
POW3R: Mi sono interfacciato con una sacco di ragazzi della nuova generazione, quella post-2000 per intenderci, e ci sono un sacco di tratti positivi: sono molto aperti mentalmente, sono decisamente globalizzati, forse anche perché hanno il cellulare fin da piccoli, il che può essere sia un bene che un male visto l'accesso incontrollato a contenuti di ogni genere. Ma è anche una generazione che secondo me sta virando eccessivamente verso una forte voglia di “fama”, verso la volontà di fare qualcosa perché si diventa virali o si fanno soldi, e non perché la si vuole fare veramente.
Eurogamer: E questo capita anche nel gaming?
POW3R: Questo succede anche nel gaming. Per quanto riguarda il settore gaming, questo si sta sì sdoganando come divertimento, come forma di intrattenimento, anche come opera d'arte a tutti gli effetti nei grandi videogiochi in single-player. Ma il gaming come forma di competizione con una sua dignità no, almeno non qui in Italia. Se guardiamo alla Spagna, alla Francia, all'Inghilterra o alla Germania, troviamo grandissimi investimenti nei risvolti competitivi del gaming. Tralasciando Emmanuel Macron che in Francia non vede l'ora di portare gli esport alle Olimpiadi, se lì sei uno studente e giochi a livello professionistico ricevi ad esempio crediti scolastici come se svolgessi una qualsiasi attività sportiva o lavorativa. Il settore del gaming e quello dell'intrattenimento legato al gaming stanno crescendo in tutto il mondo, ma a differenza di quanto accade in altri paesi in Italia il gaming competitivo e “l'hardcore gaming” stanno diminuendo. “L'anno zero degli esports” di cui parlano tutti da anni qui da noi non è mai arrivato.
Eurogamer: E questo è il motivo per cui molte società di esport italiane si stanno trasformando in influencer management?
POW3R: Sì, è la verità, E c'è pure la tendenza a far passare figure influencer come pro-player quando non lo sono affatto. Ad esempio ("e questo lo devi mettere!") una delle cose che tutti sbagliano quando mi presentano è che mi presentano come un pro-player, ma io sono un influencer, ho smesso di competere da due anni e la differenza è abissale. Se qualche volta vado a competere in contesti professionistici è perché ne sono innamorato, mi piace impegnarmi nel fare qualcosa. Ma per quanto riguarda questo mondo c'è tantissima confusione tra la figura del pro-player e quella dell'influencer. Un giocatore professionista deve rispettare orari, allenamenti, obiettivi, e se poi questi non vengono raggiunti i contratti sfumano in un attimo, è una vita molto stressante. Oggi chi è influencer viene invitato ai tornei perché si porta dietro i suoi follower e le sue visualizzazioni, che spesso diventano l'unica cosa che conta agli occhi dei brand. E questo sta facendo allontanare molti ragazzi dal mondo dell'hardcore gaming e da quello degli esports, perché non si insegue più il risultato.
C'è anche un effetto collaterale in questo. Ti ricordi quando sono stati pubblicati i guadagni degli streamer? Ho dichiarato più volte che secondo me Twitch come piattaforma paga troppo, e pagando troppo ammazza la creatività e la voglia di fare: a molte persone non interessa più fare risultato perché guadagnano tanto anche se “si siedono”, e questo è uno dei più grandi problemi dei contenuti digitali di oggi.
Eurogamer: Secondo te Twitch o il suo pubblico si stanno allontanando dal settore gaming per cui la piattaforma era nata? (Ndr: Twitch nasce come costola gaming di justin.tv, proprio perché gli streamer di justin.tv si lamentavano dell'eccessiva presenza di contenuti gaming)
POW3R: Se guardiamo solo all'Italia sì. Ma se prendiamo la top 3 dei contenuti più seguiti e giocati al mondo troviamo tre titoli competitivi: League of Legends, Valorant e Apex Legends. In italia, a parte League of Legends che è un caposaldo del mondo del gaming e una grande opera d'arte in continua evoluzione che chiunque dovrebbe conoscere, gli altri non rendono per niente. Nel resto del mondo Valorant e Apex fanno numeri elevatissimi, in Italia si arriva a picchi di 600-800 spettatori. Sono videogiochi improntati sulla formula esport, anzi, sulle storie di giocatori che cercano costantemente di migliorarsi e diventare più forti. Per crescere in questo genere di videogiochi ci vuole tempo, passione, dedizione. Il grande problema che abbiamo qui in Italia è che si cercano titoli più semplici in cui è più facile utilizzare solamente il proprio carisma e sfruttare il videogioco come se fosse un semplice sfondo. Si sta perdendo il rapporto tra il creator e la storia all'interno del contenuto che porta.
Eurogamer: Se potessi schioccare le dita ed esaudire qualsiasi desiderio, cosa faresti per permettere agli esports di esplodere in Italia?
POW3R: In Italia quello che serve è prima di tutto un forte cambiamento culturale riguardo come viene percepito l'atto di competere in un videogioco. Ci sono tantissimi ragazzi che conosco che fanno i pro-player per modo di dire: non prendono uno stipendio, sono costretti a creare contenuti, ad allenarsi senza sosta, a studiare e magari anche a lavorare in contemporanea; con una vita così stressante è impossibile arrivare a dare il 100% in una competizione. In secondo luogo abbiamo delle infrastrutture che non ci consentono di competere in molti titoli, come ad esempio Fortnite che è ping-based al punto da spingere gli aspiranti professionisti a trasferirsi in Germania per essere più vicini ai server. Mancano le infrastrutture per consentire di competere nella formula online dei tornei di oggi.
Terza cosa, è necessario incentivare l'intero settore dell'esport in Italia. La Francia negli ultimi tre anni ha guadagnato centinaia di milioni di euro a seguito della rivoluzione che ha fatto nel gaming e nell'esport, poco prima del mondiale di League of Legends che si è tenuto a Parigi nel 2019. Sono uscite fuori praticamente dal nulla intere squadre, investimenti, talenti: lo stato e le imprese hanno investito sulle risorse interne anziché pescarle dall'estero. Ai ragazzi che vogliono inseguire la carriera competitiva vista la situazione in Italia dico sempre: “Se sei forte e vinci vai a giocare all'estero”. Fatta eccezione per i PG Nationals di League of Legends, se giochi nei tornei nostrani le grandi squadre estere non ti “scoutano” neanche. Abbiamo anche esempi positivi, come quello di Sloppy (il pro-player italiano Manuel Malfer) che nel contesto di Rainbow Six nel 2020 è entrato a far parte dei Tempo Storm in America, ma di casi come il suo ne capita uno su migliaia. Pensa che quando competevo io i giocatori professionisti che vivevano di esport in Italia erano forse 5 in totale.
Eurogamer: E non hai mai pensato di fondare un tuo team?
POW3R: Questa è una domandona. Pensato? Sì. In realtà attualmente ci penso ogni giorno. Dall'altra parte sono molto legato ai Fnatic: mi è stato proposto di far parte della dirigenza, un giorno, e mi piacerebbe moltissimo spostarmi a lavorare dietro le quinte. Il fatto che è ogni volta che penso di creare la mia squadra mi rendo conto che per fare quello che vorrei fare io servirebbe un investimento enorme, ed è quello che storicamente manca in Italia. Con i budget che anche i grandi brand mettono a disposizione sarebbe molto difficile costruire una realtà come la immagino io qui. Negli Stati Uniti, quando è stata creata una società come 100Thieves, prima del lancio sono arrivati 100-200 milioni di finanziamento di partenza, il rapper Drake ne ha messi 27 di tasca sua. Un investimento del genere ti da un prospetto di anni di vita, la possibilità di spendere e di investire per creare un'impresa in salute. Tra l'altro non basterebbe neanche avere solo i soldi: servono persone che credono nel progetto e che soprattutto siano capaci di mettere sul piatto un progetto serio.
Eurogamer: 2017: POW3R smette di competere da imbattuto e va a lavorare dietro il bancone da analista. Poi molla il controller della console e va a giocare improvvisamente su PC. Poi si licenzia dal lavoro. E poi cosa succede?
POW3R: Conta che fino a quel momento avevo giocato quattro mondiali, cinque europei, otto major, venti minor, e alla fine mi sono ritirato praticamente da imbattuto. Se a un certo punto ho deciso di passare al PC è stato solo perché stermy (Alessandro Avallone, pluricampione del mondo di Quake e co-fondatore di FaceIT) mi diceva sempre: “Guarda Giorgio che il vero gaming competitivo è su PC. Devi giocare su PC!”. In quegli anni lavoravo come analista della Call of Duty World League a Colonia. Lì si firmava un contratto che vietava di competere, quindi per me è stato un periodo bruttissimo da quel punto di vista, dato che avevo ancora voglia di vincere. Mi sono detto: “Perché no, dai, proviamo a tornare a competere ma questa volta con mouse e tastiera”. Ho pensato tante volte di mollare tutto durante quel periodo di transizione. Pensavo: “Ormai ho già 23 anni alle spalle con il controller, ho un bel lavoro in un mondo che amo, quello del gaming, e mi basta così”. Poi le persone che avevo accanto e la mia ragazza mi hanno spronato e a sei mesi di distanza sono tornato a competere. Da allora è stato tutto un crescendo, e ancora non streammavo su Twitch.
Eurogamer: E l'obiettivo era già quello di diventare il POW3R che conosciamo oggi?
POW3R: Una cosa molto importante è che a quel tempo io avevo un lavoro e volevo tenermelo. Mi sono licenziato solamente a dicembre del 2018, molto più tardi rispetto a quando c'è stata la mia esplosione come streamer. Per me era solo un passatempo, credimi se ti dico che non ho mai cercato la fama, non miravo alle collaborazioni o al diventare famoso, mi piaceva e basta. Ormai quasi tutti inseguono questo mondo in cerca della fama o dei soldi, ma per come la vedo io se hai queste idee non diventerai mai il migliore in contesti come quelli del gaming competitivo o dell'hardcore gaming. Se ti fermi al montepremi o alle luci dei riflettori diventa impossibile farcela. L'obiettivo è vincere: devi odiare perdere più di quanto ami vincere. Molti oggi dicono: “guarda POW3R, parteciperà a un torneo dove si vincono diecimila dollari”. La verità è che molto spesso non mi interessa neanche del montepremi: vado a competere perché voglio competere, e secondo me è quella la differenza tra un giocatore competitivo costante e uno di passaggio.
Eurogamer: In Italia c'è la tendenza a considerare quello dello streamer un lavoro facilissimo che permette di guadagnare tantissimo. Ma quanto è difficile effettivamente?
Il presupposto più importante da cui partire è il risultato di uno studio, non mi ricordo se italiano o internazionale: i partner di Twitch che riescono a vivere di solo streaming sono solamente lo 0,4%. Da questo numero bassissimo vanno poi tolti tutti i fenomeni del momento che diventano virali, crescono improvvisamente e poi collassano. Se già questa statistica è bassa, bisogna poi tenere conto di quanto il lavoro possa essere stressante. Si comincia a diventare ossessionati dai numeri, l'umore viene influenzato tantissimo dall'andamento delle dirette e tutta la vita ne risente. Ad esempio io quando trasmetto non vedo più i numeri da diversi anni, dal 2017 circa: che faccia 1000 spettatori oppure 10000 devo performare allo stesso modo, perché è iniziata come una passione e voglio che continui così. Consiglio sempre a tutti di fare la stessa cosa. Poi ci vuole una costanza incredibile, e non è mai scontato che gli sforzi siano ripagati. Pensa che domani (sabato) teoricamente sarebbe il mio giorno libero, ma penso che streammerò ugualmente, ed è da pochissimo che ho deciso di concedermi un giorno libero, non l'avevo mai fatto.
Eurogamer: Sei mai andato in burnout?
POW3R: In burnout no, però sono stato in depressione per un mix di cose che mi sono capitate, sfortunatamente quello della fama non è un mondo bello. La prima cosa di cui ti rendi conto che perdi per sempre un elemento che hai da quando nasci, ovvero la privacy. Ovunque tu sia, ovunque tu vada, c'è sempre un telefono che registra o scatta una foto. Ma soprattutto prendi coscienza delle persone che hai attorno, perché all'inizio sei molto ingenuo. Questo è un mondo fatto di fama in cui la fama è legata ai numeri, ed è uno dei motivi per cui sono sempre stato sulle mie, da solo, pensando esclusivamente alle mie cose senza inserirmi in giri e amicizie che poi scopri non essere quello che pensavi che fossero. Ovviamente, come in ogni cosa, ci sono lati brutti e lati belli. All'inizio magari andavo al bar a prendere un caffè, facevo per pagare e mi dicevano che un ragazzo aveva deciso di offrirmelo. E ultimamente interagisco anche con molti adulti. Forse sono adulti come noi, che sono cresciuti amando i videogiochi. Forse sono cambiati i tempi, e chi a causa delle pressioni sociali si vergognava un po' della sua passione ora non ha più paura di esternarla, e questo è molto bello.
Eurogamer: Chi lavora nel mondo del gaming è strettamente legato al videogioco. Esce Fortnite e centinaia di content creator raggiungono il successo. Poi magari capitano periodi in cui non esce nulla...
POW3R: Come ora! Il problema è che se un creator cresce assieme a un videogioco diventa difficile rimanere rilevante, mantenere lo status e la rilevanza acquisita. Molte persone si focalizzano solo su un contenuto, e quindi poi il pubblico non segue te per quello che sei o per quello che fai, ma solamente il videogioco che porti. Ci sono poi periodi, come adesso, in cui mancano contenuti, e la bravura sta nel creare il contenuto dal niente. Un brutto trend dell'ultimo periodo è quello di prendere videogiochi e spremerli finché la gente ha la nausea, cosa che ad esempio è successa con Among Us durante la pandemia, oppure con Fall Guys. Oggi tutti si gettano sul contenuto e ammazzano l'hype, rendendo interi videogiochi delle meteore che arrivano, fanno il botto e poi spariscono nel nulla.
Eurogamer: E quindi qual è il segreto per rimanere uno streamer rilevante? Cosa dovrebbero fare i giovani che inseguono questa carriera? Bisogna essere variety-streamer? (Ndr: i variety-streamer sono gli streamer che portano diversi contenuti sul proprio canale senza focalizzarsi su un singolo titolo)
POW3R: Sì, effettivamente sì, ma il consiglio più grande che darei è quello di lavorare per costruirsi una rilevanza. La rilevanza non è assolutamente data dai numeri: io faccio sempre l'esempio di Sara (Sara Stefanizzi, in arte Kurolily, volto storico della piattaforma) che è la leader della quota rosa di Twitch in italia, e che non fa diecimila spettatori. Ne fa un migliaio, ma ha un valore incredibile come creator per come porta contenuti, per la cura con cui li crea, per la varietà di cose che propone, per la qualità della sua community. Lei è presente veramente dall'inizio, ed è un esempio per tutti, ha un valore enorme e ha sempre mantenuto “pulita” la sua immagine. Sfortunatamente le ragazze non vengono seguite molto in Italia, a meno che non si svestano un po'. Alla fine sulla piattaforma li conosciamo tutti i trucchi per fare soldi facili: basta mettere una piscina in camera da letto oppure andare a fare le slot machine.
Eurogamer: Ti hanno mai proposto di sponsorizzare il gioco d'azzardo? (Ndr: su Twitch, sia negli Stati Uniti che in Italia, stanno impazzando le live sul gioco d'azzardo, ed è una delle questioni più discusse del momento. Negli USA le società di gambling pagano cifre astronomiche ai creator, ma numerosi streamer le vorrebbero fuori dalla piattaforma)
POW3R: Quella roba non dovrebbe proprio esistere su Twitch. Non mi hanno mai proposto niente perché sanno benissimo che mi fa schifo, e tra l'altro è vietato quindi se lo fanno – e fidatevi che lo fanno – lo fanno in modo illegale.
Eurogamer: E noi siamo d'accordo con te. Grazie mille della chiacchierata Giorgio, e alla prossima!
POW3R: Grazie a voi!
Neanche facciamo in tempo ad alzarci dal tavolino e a raggiungere i promotori dell'intervista che Giorgio viene fermato di nuovo: un ragazzo gli chiede di fare una foto. Vuole fare una foto con POW3R, un videogiocatore competitivo che ha sempre avuto voglia di migliorarsi e di vincere. E se qualcuno per strada in una torrida giornata milanese non solo riconosce, ma vuole scattare una foto assieme a un personaggio emerso dal sottobosco degli esports, allora in Italia c'è anche qualcosina che è andata per il verso giusto.