Riprendere in mano Crysis: l'ultimo grande baluardo dell'elitarismo PCista - editoriale
Massima presunzione.
Inchiniamoci tutti di fronte a Crysis: il "Maximum Game". Come sembra strano rivisitare oggi il leggendario gioco che faceva squagliare le schede madri, il protagonista dei tormenti su frame-rate e dei thread comparativi, facendolo girare su un notebook gaming di fascia bassa a 10 anni di distanza. L'introduzione specialmente, evoca le stesse eterne sensazioni di assurdità e di pathos che potreste avere guardando il Vallo di Adriano o uno Zune di Microsoft. Una volta, so che lo pensavate anche voi, lo chiamavamo il futuro. Ahimè, il futuro raramente invecchia così elegantemente.
Crytek deve la sua esistenza a uno stratagemma per diventare appariscente: il progetto di svolta della compagnia consisteva in una simulazione basata sui dinosauri chiamata X-Isle nel 2000, un software che era più un benchmark grafico che poi divenne la base per Far Cry. Da nessun'altra parte è più evidente l'eredità di Crysis, uno shooter cibernetico moderatamente aperto in cui la super versatile nanosuit rappresenta una vera metafora per il successo tecnico del gioco stesso. In un'epoca in cui i browser game ed i giochi mobile erano di moda e le esclusive PC erano in netto declino, Crysis è stato un vero e proprio bastione di speranza per i fissati con l'hardware. Per farlo girare nel 2007 dovevate essere tra i consumatori super esclusivi in grado di dotarsi di configurazioni estreme, mentre i giocatori più casual si affidavano al più abbordabile Call of Duty 4. L'espansione Warhead proseguiva questa tendenza stratificando le proposte con opzioni che spaziavano tra "Mainstream" a "Gamer": non è difficile capire quale fosse l'impostazione più alta.
Giocare a Crysis al giorno d'oggi significa ricordare di vendere la propria arte alla forza della sua tecnologia scrivendo essenzialmente un epitaffio sul retro della scatola, visto che il gioco è ancora veramente bellissimo da vedere, con distanza di rendering eccellente e raggi di sole che filtrano dalle dense foreste tropicali. Oltre alle texture delle rocce un po' slavate o, ad esempio, l'assenza di una transizione animata quando si stende una guardia, è quella fissazione di operare al massimo che lo fa invecchiare maggiormente. Ci sono un sacco di tecnofili in giro e, affinché non sembriamo antipatici hipster (e lo siamo), diciamo che non c'è niente di male a preferire una risoluzione più alta o un frame-rate più veloce, ma il gaming su PC è divenuto celebre per la sua diversità e per l'ambizione concettuale, piuttosto che per la potenza bruta. L'idea di deridere i "consolari" con un po' di anti-aliasing di qualità adesso sembra quasi comica, quasi come provare a far ripartire la Guerra delle Due Rose tirando uova su una friggitoria a Manchester.
Perché, dunque, ritornare a Crysis? Una risposta potrebbe essere che nonostante molti shooter riprendano il suo flessibile bilanciamento tra stealth, resilienza e movimenti rapidi, pochi di questi riescono ad eseguire un bilanciamento egualmente elegante e coinvolgente. La vostra spettacolare e avanzata Nanotuta è dotata di tantissime abilità che vengono attivate tramite una barra di energia che si svuota velocemente: tre o quattro super salti o pochi secondi di scatti warp la consumano interamente, ma si ripristina anche altrettanto rapidamente, e da questa impostazione risulta un gameplay molto gratificante che spinge a dosare con raziocinio, ardimento e prudenza, centellinando al massimo la preziosa barra di energia con l'utilizzo delle giuste abilità solo al momento del bisogno. Potete accelerare attraversando l'erba alta e fermarvi per un paio di secondi per riprendere fiato, saltare su un soffitto, mettere a segno un paio di headshot e, dopodiché, utilizzare il restante 20 percento della barra della tuta per rifugiarvi velocemente dietro a una copertura ed evitare le granate lanciate verso la casa, che ucciderebbero chiunque al suo interno. La Nanotuta vi viene venduta come l'ira di Dio, una potentissima incarnazione dell'hardware richiesto per far girare il gioco, ma quella ferocia, che nasconde l'estensione della vostra esposizione al rischio se vi esporrete troppo e l'interazione sono gestite con uno stile che è veramente un brivido riscoprire. Non è possibile comprare maggiori prestazioni per la Nanotuta come fareste con una GPU più potente: si tratta di arrangiarvi con ciò che vi è dato.
La Nanotuta è anche angosciante ed inquietante per certi versi, al punto che penso che nemmeno Crytek stessa se ne sia mai accorta. Mentre ci aggiriamo per l'arcipelago fittizio del Pacifico del sud, siamo stato folgorati dal pensiero che stessimo assistendo a una storia horror dalla prospettiva del mostro. Immaginate di essere uno dei brutti ceffi, abbastanza sfortunati da svolgere servizio a Lingshan Island: pattugliate in mezzo alle fronde delle palme di una densa e assolata foresta tropicale, una silhouette oleosa e metallica si materializza e svanisce immediatamente. Allora alzate il vostro fucile e fate qualche passo avanti, chiamando i rinforzi, ma è troppo tardi: un'entità che sembra venire da un altro mondo si materializza al vostro fianco, fa fuori l'uomo alla vostra sinistra e alla vostra destra e striscia via dalla visuale, per poi riapparire solo qualche secondo dopo, per colpire alle vostre spalle.
Nello specifico, il parallelismo con l'horror riguarda il film Predator del 1987, un'altra storia ambientata in una giungla, questa volta nell'America Centrale, in cui un gruppo di soldati alpha americani sono inseriti in uno scenario in cui non possono vincere, e che narra di alieni, mimetizzazione attiva e visione a infrarosso. Predator rappresenta un utile confronto, perché illustra una potente e terrificante storia drammatica che Crytek avrebbe potuto intrecciare se avesse trattato la Nanotuta non come un raffinato aggeggio tecnologico, ma piuttosto come un costrutto psicologico contro cui la tecnologia non offre molte difese. Al giorno d'oggi ovviamente Predator non è più proprio un oggetto del mistero, visto che la creatura al centro della storia, è stata protagonista di un filone sci-fi. Ma pensate alla sua prima comparsa nel film e al terrore che potevano provare quegli uomini nell'affrontare una creatura che appariva quasi eterea e di cui non si capiva per niente essenza e natura, in mezzo a un'intricata e densa vegetazione tropicale che poteva fungere da ulteriore trappola mimetizzante.
Molto prima di poter vedere Predator, vi viene mostrato il mondo attraverso i suoi stessi occhi, un pasticcio di ombre blu nel quale sagome muscolose sono ridotte a chiazze gialle e rosse, palesate dai loro stessi sistemi vitali. Molto distante dalla precisione di un cacciatore, come l'equivalente in Crysis, il visore termico del Predatore è confusionario, rendendo la fitta e densa giungla ancora più oppressiva. La creatura assume una forma definita man mano che la storia si dipana, ma anche quando entra nel campo del visibile, c'è la sensazione che rappresenti solo lo specchio della sua preda, sviluppando tratti esageratamente mascolini in risposta alla grande virilità dei soldati. È lo sguardo del maschio fatto carne e messo contro sé stesso. Forse la migliore sequenza del film mostra Predator discendere in un accampamento dopo che Arnie ed i suoi compagni si sono dati alla fuga, e riprodurre inquietanti registrazioni che lentamente si rivelano essere le voci dei soldati, per poi culminare nella scioccante visione di una mano umana.
A volte lo stesso shock è visibile nei volti dei soldati di Crysis, che spalancano gli occhi man mano che la foresta diventa viva e stringe le sue dita attorno alle loro gole, ma la maggior parte delle volte i nemici reagiscono alla vostra presenza, visibile o invisibile, solo con la rabbia. Pure loro hanno la Nanotuta dopo tutto, e grossi problemi che consistono in minacciosi e ostili alieni che infestano una montagna da centinaia di anni. Finalmente i Ceph vengono liberati nella seconda metà della campagna e sono interessanti da affrontare per la loro capacità di mutare il clima. Battere in ritirata attraverso aree che sono state congelate è una bella soddisfazione nella parte finale del gioco ed un'ulteriore dimostrazione dell'abilità tecnica di Crytek. Ma questi alieni sono una specie convenzionale di mostruosità, le classiche creature con tentacoli che abbiamo combattuto nei videogiochi per intere decadi. Quel che è peggio è che il loro arrivo coincide con il punto in cui Crysis smette di essere un gioco sandbox per diventare uno shooter fatto di missioni di scorta e sequenze d'inseguimento.
La cosa frustrante della Nanotuta è che Crytek ha mancato di coglierne il potenziale intrinseco. In Crysis 2 la tuta si è scoperto essere il risultato di uno studio scientifico dei Ceph e la trama vede il protagonista diventare lentamente tutt'uno con il dispositivo che va curando le sue ferite. È un disgustoso prospetto che pone diversi temi interessanti su cui interrogarsi: cos'è che rende un essere umano tale? I cyborg quanto possono essere egoisti? C'è uno scambio a due direzioni tra giocatore ed avatar nei videogiochi? Quanto veniamo modificati dalle entità virtuali sotto il nostro controllo? La risposta a queste domande, comunque, non va mai molto oltre accorati soliloqui ed è stata offuscata dagli sforzi da parte di Crytek di corteggiare gli utenti mainstream che aveva precedentemente snobbato. Crysis 2, ambientato nelle rovine di una città ritornata sotto il dominio della natura, ha rappresentato senza dubbio la condanna a morte della serie. Crysis 3 ha ottenuto un consenso leggermente maggiore, ma con l'arrivo di Titanfall, Destiny e Call of Duty: Advanced Warfare, ognuno dei quali presentava la propria visione di cyborg e nanotute, il "Maximum Game" è stato dimenticato. Considerato tutto, sono contento di lasciarlo nel dimenticatoio.