SBK09
Apri, piega, lotta, vinci.
Un giornalista che diventa PR, negli USA, è praticamente la prassi. Con la stessa elasticità, qualche mese dopo, può cambiare ancora e tornare da dove è arrivato, ripetendo più volte l'operazione negli anni, in un contesto decisamente differente dal nostro, per un serie di motivi. In Italia la cosa è un filo differente e questo percorso, che è stato esattamente il mio, non è poi riconducibile a tante persone impiegate in un'industry molto meno matura e flessibile.
Tutta questa pappardella, a che pro, direte voi? In realtà per cominciare il discorso SBK, un titolo a cui sono particolarmente affezionato, avendo passato gli ultimi 2 anni e mezzo della mia vita (lavorativa e non, prima dell'avventura Eurogamer), invischiato nella produzione, nello sviluppo e nella comunicazione di un brand storico dei videogiochi, tornato di moda nel 2007, dopo una gestazione lunga e problematica. Nel 2006 arrivai in Leader, distributore del titolo qui da noi e capofila della holding a cui appartiene anche Black Bean, publisher del gioco, all'indomani del lancio di Superbikes Riding Challenge. In Milestone si brindava, con la consapevolezza che di li a breve sarebbe cominciato il lavoro vero, per rispolverare un marchio che ha di fatto reso famoso il team di sviluppo nel mondo tanti anni fa (1999-2001) e che resta ancora oggi un termine di paragone assoluto per il genere per tanti giocatori: SBK, per l'appunto.
Ricordo ancora la prima riunione in una sala meeting che ora non esiste più, con Antonio Farina, Chris Mehers e una serie di altre persone che negli anni hanno cambiato ruoli e competenze (i Product Manager, cadono come mosche...), lavorando sempre con passione e impegno. C'erano tante persone, tanti foglietti, tanti pareri. Il metodo era semplice: cosa vuole vedere la gente in un titolo di moto? Cosa accomuna un programmatore motociclista, con un inglese esperto di marketing appassionato di cavalli, un giornalista amante dei GDR, un rider wannabe che va in pista ma non gioca e tutta una serie di profili differenti, potenzialmente interessati all'acquisto?
"Danger, speed and glamour" fu la risposta, dopo aver riempito una parete di post-it e aver spuntato le parole chiave comuni. Concetti fondamentalmente semplici, affiancati da una miriade di idee brillanti che, nello sviluppo, devono sempre fare i conti con tempi proibitivi e budget mai abbastanza pingui per soddisfare i desideri di tutti. A maggio di due anni fa, finalmente, SBK07 ha visto la luce, rilanciando Milestone al top, tanto da convincere Capcom ad affidarle il concorrente più diretto del suo stesso segmento, ossia Moto GP. Un successo di critica e vendite che ha spianato la strada del publishing "vero" per Black Bean e per SBK08, esordio next-gen della software house milanese.
Un titolo che per me ha rappresentato tanto e che ad oggi è il gioco italiano più conosciuto e venduto all'estero (di sempre), grazie al lavoro di un manipolo di baldi giovinastri (che bacio e abbraccio, dal primo all'ultimo. Prima le femminucce of course) che ha curato al meglio il lancio in Europa, USA, Australia, Sud Africa e svariati altri paesi, combattendo giorno e notte contro zilioni di intoppi, sfighe e catastrofi varie, capitate sotto forma di situazioni e persone. Un lavoro che è diventato di fatto "un problema" anche per un gigante come la sopracitata Capcom, costretta a fare i conti con "i piccoletti" del fagiolino nero e con una community di appassionati che ha risposto alla grande alla release, dopo anni di attesa.
Strana la vita: ho visto (ri)nascere e crescere un brand che per quasi 3 anni ho spinto (in tutto il mondo, dall'inizio del 2008), convincendo tanti giornalisti della sua unicità e oggi, a poco più di 90 giorni dal mio saluto a Black Bean, mi trovo a vedere, per primo, ciòò che avevo toccato, criticato e analizzato quando c'era solo un'alfa e si pensava ancora al "come" migliorare quanto di buono era stato fatto. Inutile dire che tutto ciò che è stato presentato, era esattamente come mi aspettavo.