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Shank

Quando lo stile non basta.

Qualche mese fa il panorama dei giochi d'azione è stato sconvolto dal ciclone Bayonetta, che si è rivelato una ventata d'aria fresca per un genere da tempo legato a meccaniche vecchie e poco ispirate.

La settimana scorsa su Xbox Live e PlayStation Network è apparso un gioco che, pur rinunciando a una dimensione e riportando l'azione alle sue origini, è riuscito a offrire un'esperienza fluida, godibile e incredibilmente appagante.

Già dai primi trailer diffusi, Shank di Klei Entertainment si era messo in mostra per lo stile grafico ispirato e profondamente caratterizzato, oltre che per l'intrigante gestione delle combo. Una volta completato il download di Shank e avviata la prima partita, l'impatto iniziale è folgorante.

L'atmosfera garantita dalle splendide sequenze d'intermezzo (utilizzate per raccontare una storia non certo memorabile) e dallo stile grafico generale è a dir poco perfetta, e i minuti iniziali sono un vero fulmine a ciel sereno.

La primissima combo, l'eliminazione del primo gruppo di nemici, i fluidi spostamenti iniziali attraverso le ambientazioni introduttive, si trasformano in un collante capace di saldare le mani del giocatore al joypad, mentre un sorriso di ebete soddisfazione si stampa sul viso di chi è impegnato nell'impresa.

Queste sensazioni meravigliose, però, sono destinate a durare davvero troppo poco, visto che bastano pochi livelli per rendersi conto del fatto che Shank, a conti fatti, mostra tutto ciò che ha da offrire nei primi istanti di gioco.

Quando ci si accorge che le combo, per quanto splendide, sono presenti in numero piuttosto limitato e che l'azione, per quanto galvanizzante, diventa ripetitiva già dal secondo livello, il sorriso si spegne lentamente, lasciando il posto a un'espressione a metà fra la delusione e l'amarezza.

Il trailer di lancio di Shank.

Con questo non voglio dire che Shank sia un brutto gioco, visto che riesce ad appassionare fino ai titoli di coda, ma semplicemente che si tratta di un titolo estremamente piccolo, che sfrutta una caratterizzazione artistica di grande livello per nascondere una serie di limiti piuttosto evidenti.

La fluidità con cui è possibile costruire combo infinite è l'elemento migliore dell'intero gameplay, ma dopo aver pestato 10, 100, 1000 scagnozzi, la sperimentazione iniziale lascia il posto alla monotonia, portando il giocatore a usare sempre le stesse due o tre strategie in base alla situazione.

Delle armi che si trovano nel corso del gioco sono davvero poche quelle che si rivelano indispensabili per procedere nell'avventura (una volta ottenuto lo shotgun non si sente quasi mai il bisogno di passare a un'altra arma da fuoco, giusto per fare un esempio), dimostrando quanto poco bilanciato sia il gameplay generale.

Livello dopo livello, infatti, ci si trova costantemente a utilizzare la stessa configurazione, salvo alcune rare eccezioni in cui si passa per qualche secondo a un'arma alternativa. Il cambio delle armi, a conti fatti, non viene incoraggiato dal gioco, ma è legato principalmente al desiderio di fare qualcosa per cercare di variare l'esperienza finale.

Avatar di Filippo Facchetti
Filippo Facchetti è un rispettabile nerd da sempre appassionato di "giochini elettronici". Prima di approdare a Eurogamer scrive per importanti riviste di settore e conduce programmi TV dedicati all'intrattenimento digitale.

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Shank

PS3, Xbox 360, PC

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