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Silent Hill Homecoming

Io non ho paura.

Non è facile, ragazzi. Non è facile per niente. Sto ancora tentando di riprendermi dai traumi di Origins su PS2 ed eccomi ora alle prese con il nuovo capitolo ufficiale: Silent Hill: Homecoming. Come il protagonista del gioco, tale Alex Shepherd, anche io bramavo di tornare a casa e ritrovare la nebbia che aveva avvolto i miei "migliori" incubi videoludici. Non ho nessun problema ad ammettere di aver sempre preferito i misteri e i rituali del Culto alla maledetta follia del T-Virus. Le atmosfere malate della serie, la perversione e il delirio in attesa della redenzione... tutto questo mi aveva stregato come pochi altri titoli. Sono anche riuscito a metabolizzare il quarto capitolo, arrivando ad accettare i panni di Henry Townshend e le indemoniate pareti della stanza 302.

È una storia d'amore e odio quella che mi lega alla Collina Silenziosa. Il problema è che, come tutte le storie, prima o poi doveva finire...

E dire che quando furono rivelati i primi dettagli sul gioco sentii rinascere la speranza. Fu annunciato che il protagonista si chiamava Alex Shepherd. Shepherd... come la moglie di James Sunderland nell'indimenticabile secondo episodio. "Oddio" pensai, "ma vuoi vedere che..." E invece no. Le vette raggiunte da SH2 sono ormai solo un bellissimo ricordo. Il salto generazionale compiuto dalla serie fa paura, purtroppo per i motivi sbagliati. E adesso vi spieghiamo il perché.

Alex è un soldato che torna a casa dopo essere stato ricoverato in un ospedale militare. Si porta dietro profonde cicatrici di guerra, ma ciò che lo tormenta davvero sono le cattive premonizioni sul fratellino Josh. Decide quindi di affrontare le sue paure, ignaro di ciò che lo aspetta realmente, e al suo ritorno i presentimenti si rivelano subito fondati: Shepherd's Glen, la sua città natale, è un luogo ormai abbandonato. Josh sembra sparito e la madre è ormai in uno stato catatonico. Una fitta nebbia grava sul posto come un sudario su un cadavere, diverse strade si interrormpono rivelando veri e propri crateri urbani. Le poche persone rimaste non riescono a dirci molto, e a tratti riescono ad inquietarci quasi quanto le orrende creature asserragliate nella città.

Il design dei mostri è poco più che discreto, ma manca il totale senso di orrore e ripugnanza di cui era capace il Team Silent.

Il sistema di gestione dei comandi e della visuale è stato discretamente rivisitato. Ora possiamo finalmente salutare le vetuste schermate statiche a favore di una telecamera manovrabile tramite levetta analogica. I nostri movimenti sono lievemente più fluidi (sarà possibile schivare gli avversari) e il sistema di lock sui nemici ci consente di centrare il bersaglio senza eccessivi problemi.

Coloro che hanno giocato gli episodi precedenti ritroveranno quindi dinamiche di gameplay pressocché inalterate. Per farla breve, si tratta essenzialmente di quel collaudato meccanismo che vede l'alternanza di fasi esplorative, scontri con i mostri e qualche rompicapo prettamente in linea con gli standard della serie, nonostante la maggior parte di questi sia banale a livelli imbarazzanti. Come sempre avremo a disposizione utilissime mappe per orientarci in strada e nei vari edifici, con l'importante ausilio di veder segnati i punti di interesse da raggiungere o in cui ritornare per procedere nella storia. Tornano anche le bastarde porte chiuse: tante, tantissime porte bloccate che vi costringeranno a scandagliare gli ambienti di gioco in maniera minuziosa alla ricerca di tutto ciò che possa tornarvi utile. Parliamo di nuove armi, munizioni e strumenti curativi, più una serie di ammenicoli vari atti a consentirci il passaggio di determinate location.

Poche creature sono riuscite a spaventarci davvero. Qualcosa è andato perso lungo la strada. O forse, semplicemente, i mostri siamo noi...

Alex è un uomo addestrato al combattimento e ciò si rispecchia ampiamente nel modo in cui è capace di tenere testa ai nemici durante le sessioni di lotta. Le crature presenti nel gioco sono più veloci e brutali rispetto ai primi capitoli, ma il nostro protagonista potrà sempre cavarsela egregiamente a patto di riuscire a padroneggiare il giusto tempismo nello schivare i colpi e nel rispondere prontamente con le armi in dotazione.

Brian Christian di Konami ai tempi aveva parlato di nuovi e profondi elementi di gameplay, la cui implementazione sarebbe stata possibile grazie alla potenza dei nuovi hardware. Era plausibile pertanto ipotizzare una IA sicuramente più reattiva e imprevedibile, ma allo stato attuale non possiamo ravvisare nulla di tutto ciò. È vero, i combattimenti sono un filo più esigenti che in passato, ma definirli "profondi e viscerali" ci sembra davvero fuori luogo. Quel minimo di tensione che emerge è dovuto più alla generale atmosfera del gioco e alle musiche incalzanti e sublimi (che la divina madre abbia in gloria il grande Akira Yamaoka, ora e per sempre.) La scarsità di munizioni incoraggerà spesso e volentieri gli scontri ravvicinati, il che apporta qualche beneficio in tema di pathos e coinvolgimento emotivo.