Storie dalla Nintendo degli anni '90: l'uomo che ha creato il volto di Mario - intervista
“Ero a scuola e cercavo di capire se avessi dovuto proseguire gli studi: ho deciso di non farlo.”
Nel corso di una storia che si appresta a superare i 130 anni, Nintendo ha attraversato molte ere affascinanti: l'epoca di Yokoi, quella da cui è nato il Famicom e gli anni della mania del Wii, ma nessuna è davvero evocativa come il periodo degli anni '90 in cui il nome della compagnia è divenuto un sinonimo dell'intera industria dei videogiochi. Una delle storie che mi hanno ammaliato di più è quella che narra di come un gruppo di ragazzi del nord di Londra si siano trovati a lavorare nel quartier generale di Nintendo a Kyoto, contribuendo a creare Star Fox e di come uno di loro abbia continuato a inserire un po' di demoscene in alcuni dei giochi più iconici della compagnia, programmando da solo la faccia malleabile di Mario che i giocatori si trovavano davanti quando avviavano Super Mario 64.
È proprio con quella persona che ho avuto il piacere di chiacchierare a Kyoto, nel periodo in cui una parte della scena di sviluppo della città si incontra per l'hanami, la celebrazione della fioritura dei ciliegi tra cibo e bevande. L'evento è stato organizzato dalla Q-Games di Dylan Cuthbert (uno dei ragazzi di quel gruppo del nord di Londra) e, a parteciparvi, ci sono anche 17-Bit e Vitei, la compagnia fondata da Giles Goddard. Goddard è l'unico che è rimasto in Nintendo, nel processo che lo ha portato a diventare il primo impiegato occidentale di Nintendo EAD. Anche se ha lasciato la compagnia all'inizio del nuovo secolo è sempre rimasto a vivere a Kyoto. Io e Goddard abbiamo trovato un posto tranquillo sulle sponde del fiume Kamo e, in compagnia di un paio di birre, abbiamo chiacchierato su come fosse la vita all'interno di Nintendo negli anni '90.
Eurogamer: Parlami della tua vita prima di entrare in Nintendo.
Goddard: Ero a scuola e cercavo di capire se avessi dovuto proseguire gli studi. Ho deciso di non farlo. Allo stesso tempo ho trovato lavoro a Londra, sviluppando demo per Amiga, wireframe, per essere precisi.
Eurogamer: Roba demoscene, in pratica?
Goddard: Sì, demoscene, e quasi nessun altro lo faceva, a parte me. Era il periodo in cui Jez [San, fondatore dello studio di sviluppo inglese Argonaut] ha creato Starglider [uno dei primissimi giochi in 3D per Amiga]. C'erano davvero pochi di noi ad occuparsi di quella roba, perciò è stato facile.
Eurogamer: Sembra che fossi già abbastanza realizzato, per avere solo 16 anni.
Goddard: Dovevi andare giù per le miniere a 13 anni in Inghilterra! Non ho mai pensato di essere realizzato, se ti occupi di demoscene questo è ciò che fai. Non è che tu sia soddisfatto. Fai quello che fanno tutti.
Eurogamer: Cos'è che ti ha attratto? Erano i giochi o ti piaceva semplicemente padroneggiare la tecnologia?
Goddard: Non ne ho idea. Mia madre mi comprò uno Spectrum quando avevo sette o otto anni perché glielo chiesi io. Ci scrivevo i giochi presi dalle riviste che all'epoca li avevano stampati sul retro: ti sedevi e scrivevi il codice che non avrebbe funzionato anche per un minimo errore di battitura. Era puro problem solving, davvero.
Eurogamer: Com'era Argonaut?
Goddard: Era la casa di Jez, nel nord di Londra. C'erano un paio di camere da letto in più: Dylan era in una e io nell'altra. C'erano circa cinque o sei persone in quella casa, due per ogni stanza da letto.
Eurogamer: Quindi hai abbandonato la scuola?
Goddard: Sì, non ho proseguito gli studi. Non vedevo l'utilità di farlo, in quel periodo: se avevo già un lavoro, perché avrei dovuto continuare a studiare per un altro anno e prendere una qualifica che non mi avrebbe davvero aiutato con il mio lavoro?
Eurogamer: Come siete entrati in contatto con Nintendo, la prima volta?
Goddard: Jez ha contattato Nintendo e gli ha detto che l'hardware del loro NES era davvero ottimo e che pensavamo di poter inserire il 3D al suo interno. Gli ha chiesto se volevano che ci provassimo e loro hanno accettato. Gli abbiamo mostrato questa demo 3D basata unicamente sul software e funzionava per quanto fosse abbastanza lenta. Per questo Jez suggerì l'uso di un DSP, una specie di chip aggiuntivo, per migliorare il gioco stesso e aggiungere un certo quantitativo di pixel, sostanzialmente. Ha convinto Nintendo che Argonaut avrebbe dovuto progettare il chip e Nintendo, ancora una volta, ha accettato. Eravamo tutti a casa di Jez, passandogli le bollette e sperando che le pagasse. Nessuno di noi era un suo dipendente, all'epoca.
Eurogamer: A quei tempi Nintendo era all'apice del suo potere, una delle più grandi compagnie del Giappone e di tutto l'entertainment e faceva affari con due ragazzini di 16 anni che lavoravano in una camera da letto nel nord di Londra? Come ha fatto a funzionare?
Goddard: Per essere onesti non ne te lo so dire. Ovviamente il 3D stava prendendo piede negli arcade, Star Wars, Star Blade e cose del genere, cose su cui Jez ha basato lo sviluppo di Starglider. Dopodiché ci fu Star Blade di Namco che fu incredibile, per quegli anni. Nintendo si rese conto che il 3D era un'area del gaming che non avevano ancora esplorato, ma che desiderava ardentemente farlo. C'erano ancora poche compagnie che si occupavano del 3D a quei tempi e noi eravamo una di quelle. Jez, inoltre, era in ottimi rapporti con Tony Harman di Nintendo Of America, un altro elemento a nostro favore.
Eurogamer: C'era una certa stigmatizzazione di Nintendo, a quei tempi?
Goddard: Assolutamente no. Erano LA compagnia di gaming. La gente non diceva che giocava ai videogiochi, diceva che giocava al Nintendo.
Eurogamer: Dopo quanto tempo vi siete separati per approdare in Nintendo?
Goddard: Fu una cosa abbastanza naturale. Siamo stati lì per oltre un anno e mezzo ad occuparci di Star Fox, dopodiché mi sono lanciato nello sviluppo di Wild Trax. Ho detto a Jez che, dopo essere stato via dal Regno Unito per oltre un anno, non avevo più contatti o amici lì e non avevo nemmeno un appartamento a cui tornare. La mia vita era qui, in Giappone. Gli ho chiesto se potevo lasciarli per andare a lavorare in Nintendo. Non ne fu molto felice ma era d'accordo con me che non sarebbe stato facile tornare in Inghilterra dopo un anno passato lì. A quel punto ha cambiato il contratto con Nintendo così che nessuno, dopo di me, potesse farlo. Ecco uno dei motivi per cui Dylan è andato a Sony, piuttosto che a Nintendo.
Eurogamer: Quindi, quando ti sei trasferito a Kyoto, quanti anni avevi?
Goddard: 19.
Eurogamer: E che livello di comprensione avevi del Giapponese?
Goddard: Zero. Pensavo che la gente almeno parlasse in inglese e che ci sarebbe stato l'inglese anche sui cartelli. Mi ricordo di essere rimasto sconvolto dalla quantità di kanji che mi circondavano.
Eurogamer: Il Giappone era molto diverso a quei tempi, vero?
Goddard: Sì, c'erano pochissimi turisti, nessun cartello in inglese, nessun aiuto, niente. Il turismo in Giappone era quasi interamente fatto dai giapponesi. Adesso è quasi interamente dei cinesi.
Eurogamer: Quindi come hai fatto a imparare?
Goddard: Mi sono trovato una ragazza giapponese. Io e Dylan ci siamo fidanzati con ragazze giapponesi abbastanza velocemente.
Eurogamer: Beh, ma come fai a trovarti una ragazza giapponese se non parli nemmeno una parola della loro lingua?
Goddard: È un'ottima strategia: ti compri un dizionario e inizi a parlare grazie ad esso, è un ottimo modo di iniziare a parlare con le ragazze. Non so se funzionerebbe ancora oggi con i dizionari degli smartphone. C'era qualcosa di affascinante nell'avere questo grosso libro contenente tutte le parole.
Eurogamer: Non era tutto terrificante? Forse a 19 anni eri un po' più coraggioso!
Goddard: No, non era terrificante, per niente. C'era tanta solitudine. Siamo stati in un hotel per un anno intero e l'ho odiato davvero tanto, anche solo dopo un paio di mesi. Il concetto di avere questa camera che non era la tua con solo un mucchio di roba nell'angolo e quella era la tua vita: andavi a lavoro e tornavi all'hotel [il Kyoto Royal Hotel, che di recente è stato chiuso]. Era davvero orribile. L'odiavamo tutti.
Avevamo l'abitudine di portare con noi le nostre ragazze e l'hotel si lamentava con Nintendo perché non pagavano per due persone ma solo per noi. Di solito spedivamo il conto di tutti i nostri pasti a Nintendo.
Eurogamer: A 19 anni facevo davvero schifo.
Goddard: Oh ma facevamo tutti un po' schifo a quei tempi: un diciannovenne che viaggia in prima classe per Londra ogni paio di mesi, che stava in hotel completamente spesato, ti senti davvero privilegiato.
Eurogamer: Come ha fatto a funzionare? Sicuramente ci sarà stata una barriera linguistica.
Goddard: Assumevano gente che parlasse in inglese, nel team. Non si rendevano conto che imparavamo la loro lingua in fretta perché eravamo molto giovani. Mi ricordo, un giorno, che stavano parlando di noi, proprio davanti a noi in termini non esattamente gentili ed io e Dylan gli abbiamo risposto per le rime in giapponese. Avevano un'espressione davvero scioccata quel giorno.
Il problema, generalmente, è che nella società lavorativa giapponese, è consuetudine non lasciare il posto di lavoro prima del tuo senpai, il tuo superiore più anziano. Noi, invece, una volta finito il nostro lavoro (che svolgevamo anche abbastanza bene), ci alzavamo e andavamo a bere al pub. Loro lo odiavano. Non eravamo pronti a uniformarci alle loro abitudini di lavoro e questo ha creato molti problemi.
Eurogamer: Com'era la Nintendo di quei tempi?
Goddard: Faceva molto "Giappone anni '80". Se cerchi su YouTube "compagnia giapponese anni '80" loro erano molto simili. Ci sono molti documentari sul boom del Giappone di quel periodo in cui copiavano ciò che facevano gli americani, lo rendevano giapponese, lo rendevano migliore lo rivendevano al mondo. Erano molto bravi a farlo. Erano un po' presuntuosi: tutti erano pagati molto bene ma non riuscivano a capire la cultura. La cultura era molto old-school, quasi come essere a scuola o nell'esercito. Entravi alle 8.30 del mattino, la campana suonava alle 8.45 e iniziavi a lavorare. Era tutto regolamentato nei minimi dettagli. Lavoravi duramente fino alle 11 di sera, andavi a casa e dormivi qualche ora per poi ricominciare. Noi ci rifiutavamo di farlo. Verso la fine dello sviluppo di Star Fox, quando sgobbavamo per davvero tante ore, pensavamo di essere sfruttati. Non riuscivamo a vedere il disegno più grande: eravamo ragazzini di 19 anni che lavoravano spalla a spalla con Miyamoto.
Eurogamer: Abbiamo tutti una certa idea di Nintendo, o almeno io ce l'ho, che sia come la Fabbrica di Cioccolato di Willy Wonka, un mondo magico da cui escono tutti i giochi.
Goddard: No, è solo una fabbrica.
Eurogamer: C'era almeno la sensazione di stare creando qualcosa di grosso?
Goddard: Non c'è mai stata. Avevamo questo gioco da creare, avevamo un programma rigido e dovevamo rispettarlo altrimenti... chissà cosa sarebbe successo.
Eurogamer: Quindi non c'era nessun alone di magia?
Goddard: Per niente. Non credo ci sia nemmeno oggi. È solo un rigido, asettico modo di lavorare. Mi stupisce il fatto che da lì dentro esca così tanta creatività con Zelda e Mario. Se ci entri ti rendi conto che è tutto bianco, sterile, ci sono solo cubicoli asettici e una campana che suona in corrispondenza della pausa pranzo o della fine della giornata lavorativa. Punto, nient'altro. Non riesco proprio a capire come facciano a farne uscire tanta creatività. Però ci riescono.
Eurogamer: Sei mai riuscito ad entrare in confidenza con qualcuno di loro?
Goddard: No, mai. Anche alle feste di Capodanno nessuno si scioglieva mai troppo. È solo il modo di lavorare della gente giapponese.
Ho fatto a Dylan Cuthbert la stessa domanda più tardi e mi ha risposto che l'aneddoto più incredibile che potesse raccontarmi era di una volta in cui Miyamoto ha portato tutto il team ad un supermercato di notte nel periodo di Star Fox, professando un amore viscerale per i digestivi al latte e cioccolato durante il tragitto.
Eurogamer: Il team con cui lavoravi, Miyamoto, Eguchi, Watanabe, com'erano?
Goddard: Era piacevole lavorare con loro. Tutti quelli che lavoravano in Nintendo erano brave persone con enormi talenti. Non c'era niente di sbagliato nelle persone, era la cultura ad essere un po' vecchio stile.
Eurogamer: Quella cultura cambiò quando Hiroshi Yamauchi andò via?
Goddard: No, non è mai cambiata. Forse solo un po' con l'arrivo di Iwata-san, ma non così tanto. Cambiò la quantità di straordinari che facevano gli impiegati. Iwata stesso era un programmatore e capiva che lavorare un maggior numero di ore non significava necessariamente produrre giochi migliori perciò cambiò questo aspetto. Credeva che si potesse lavorare meglio se si riposava di più, fu una grande cosa! A Yamauchi non importava, per lui c'erano solo dei programmi da seguire.
Eurogamer: Avete mai avuto modo di interagire con Yamauchi? Sembra davvero terrificante dai racconti che si sentono in giro.
Goddard: L'ho incontrato solo una volta ed eravamo tutti davvero terrorizzati.
Eurogamer: Com'è stato lavorare con Iwata?
Goddard: Quando stavamo creando il Nintendo 64 sono andato all'SGI con due programmatori e Iwata-san.
Eurogamer: Per chiarire quale hardware avrebbe dovuto avere Nintendo 64 al suo interno, giusto?
Goddard: Sì. A quei tempi Iwata era solo un programmatore presso HAL e lo vedevo proprio come il tipico nerd. Mi ricordo che si lamentava del fatto che SGI aveva stretto un grosso accordo con SKG e stavano festeggiando tutti, quando siamo arrivati lì: c'era un grosso barbecue e Iwata si domandava il perché. Ho pensato che doveva davvero rilassarsi un po'. Dopodiché, dopo qualche anno, divenne presidente e la volta successiva che ho interagito con lui sembrava quasi che stesse recitando un copione che gli era stato imposto. In fondo, però, aveva il cuore di un programmatore e sapevo che aveva la mentalità giusta per dirigere Nintendo: sapeva bene come sviluppare i videogiochi. A parte questo, comunque, era un po' un nerd.
Eurogamer: La visita a SGI è stata una specie di ricognizione?
Goddard: Credo sia stata più una visita per capire come Nintendo potesse influenzare l'hardware di SGI, in fin dei conti. Volevamo essere sicuri che i loro prodotti fossero in linea con i giochi che Nintendo voleva creare. Erano tutti concentrati sul fare grafica di qualità mentre Sony preferiva una grafica più veloce e Nintendo non sapeva in quale su quale delle due investire.
Eurogamer: Quanto sei stato coinvolto nelle discussioni sull'hardware?
Goddard: Direttamente non molto, ero con l'EAD. È stato il gruppo di Genyo Takeda a occuparsi davvero della discussione sull'hardware. Noi eravamo lì solo per essere sicuri che il tutto funzionasse per gli scopi dell'EAD.
Eurogamer: Prima di tutto questo hai anche contribuito allo sviluppo di Stunt Race FX [un gioco per SNES che, come Star Fox, faceva uso del chip Super FX. Era conosciuto come Wild Trax in Giappone]. L'ho importato, a quei tempi. Ho pagato 20 sterline per l'adattatore e altre 80 per il gioco.
Goddard: Credo ti abbiano derubato. Non mi piaceva molto.
Eurogamer: A me piacque molto. Com'era il framerate, esattamente?
Goddard: Ecco il motivo principale per cui non mi piaceva: aveva un framerate terribile. Quando lo stavamo sviluppando girava circa a 30hz, meglio di Star Fox che era attorno ai 14, 20 o giù di lì. Io volevo un racing game a 30hz. Venendo da Mario Kart che andava a 60hz, doveva essere il più vicino possibile. Il risultato che abbiamo ottenuto funzionava alla grande a 30hz, era divertente e tutto era molto fluido. Poi, però, abbiamo aggiunto tanti di quei contenuti al gioco che siamo passati dai 30 ai 14 ai 12hz. Più lento diventava e più le dinamiche peggioravano. Il prodotto finale non era fluido come avrebbe dovuto essere.
Eurogamer: Io me lo ricordo perché aveva una realizzazione eccellente delle sospensioni.
Goddard: Sì, ma non era del tutto intenzionale. Volevamo che le sospensioni fossero realistiche il più possibile, non così goffe e molleggiate.
Eurogamer: Ma erano grosse auto cartoonesche! Aveva senso!
Goddard: Ecco perché non sono un game designer. Nintendo si è resa conto che stava diventando tutto così goffo e cartoonesco e lo hanno reso parte integrante del design finale del gioco.
Eurogamer: Aggiungi degli occhi alle auto. Missione compiuta.
Goddard: Tipico di Nintendo. Individuare le limitazioni e renderle parte del game design è una delle cose che gli riescono meglio.
Eurogamer: Magari potremmo avere una remaster, prima o poi.
Goddard: Spero di no.
Eurogamer: Davvero non ti piace così tanto?
Goddard: Non è che lo odi, è solo che...
Eurogamer: Beh, a me è piaciuto. A quel tempo era davvero particolare, non avevo molta esperienza con i giochi 3D.
Goddard: Al momento sto lavorando con un producer davvero famoso, di cui non posso dire il nome e lui è davvero un grande fan di Wild Trax, non riesco a capire il perché. I giochi che ha creato lui sono molto meglio di qualsiasi cosa abbia mai fatto io ma è fermamente convinto che Wild Trax sia grandioso. Credo, comunque, che siamo un po' tutti così: quello che facciamo non è mai perfetto, vediamo sempre ciò che non va. Anche quando guardo 1080, riesco a vedere solo le cose che avrei dovuto migliorare.
Eurogamer: Andando avanti, ai tempi del N64, di cosa ti occupavi?
Goddard: Ero nel settore R&D di EAD, ci occupavamo di condurre test e creare demo per il nuovo hardware.
Eurogamer: Ti consentivano di sperimentare o eri comunque inquadrato?
Goddard: Sperimentavamo parecchio. Era grandioso. Sicuramente la parte migliore del mio periodo di lavoro in Nintendo. Ci diedero quelle bellissime macchine di SGI: i programmatori ricevettero gli SGI Indy, i designer gli SGI Indigo e gli Onyx facevano effettivamente girare l'emulatore dell'N64. L'Onyx era un grosso, massiccio supercomputer, in poche parole.
Eurogamer: Sembra tutto molto costoso.
Goddard: Il listino prezzi era pazzesco. Era come un normale PC standard ma 10 volte più costoso.
Eurogamer: Perché costava così tanto?
Goddard: Perché arrivava dall'industria cinematografica e non conoscevano nulla di meglio dal punto di vista dell'hardware.
Eurogamer: Era un ambiente di lavoro abbastanza rigido, come facevate a sperimentare e a divertirvi?
Goddard: Non potevi prenderti delle libertà nel modo in cui lavoravi ma potevi farlo nelle cose che creavi, nelle demo che sviluppavi. Non potevi prendere sottogamba i tuoi orari di lavoro, essere in ritardo e non fare gli straordinari, però potevi sperimentare con i giochi che stavi ideando e loro incoraggiavano questo tipo di creatività.
Eurogamer: Tu hai creato il famoso volto di Mario nella schermata iniziale di Super Mario 64. Come hai ricevuto quegli asset? Come mai ti hanno permesso di farlo?
Goddard: Quando abbiamo ricevuto gli Indy erano accompagnati da una videocamera. Ho messo delle palle da ping pong sulla mia faccia e ho pensato che sarebbe stato forte usare la videocamera per controllare il volto. Ho giustificato il tutto dicendo che stavo testando lo skinning, a quel tempo se avevi due articolazioni dovevano essere due oggetti separati, non c'era nessun tipo di livellamento. Così ho iniziato a sperimentare su come fare lo skinning e una buona dimostrazione fu il volto di Mario. Se hai un capo che comprende questa evoluzione nello skinning, nelle animazioni facciali, diventa una sperimentazione con uno scopo: è un progresso, è qualcosa di veramente nuovo.
Eurogamer: Adoro il fatto che ci sia un po' di demoscene in questo progetto. Come l'hai inserita nel gioco?
Goddard: Miyamoto l'ha visto mentre passava. Non mi ha chiesto di modificare nulla, tranne l'elasticità. Volevano che l'utente tirasse la faccia ma dopo quello cosa succede? Ecco da dove è arrivata l'idea dell'elasticità.
Eurogamer: Quando hai visto il volto di Mario inserito in Mario 64 hai avuto la sensazione che stesse succedendo qualcosa di importante?
Goddard: No, assolutamente.
Eurogamer: Secondo me è una di quelle cose che definiscono un'era.
Goddard: No, all'epoca non ce ne rendemmo conto. Torniamo al discorso di prima, quando ti dicevo che ci lamentavamo degli straordinari, di lavorare fino alle 6 del mattino e non ci rendevamo conto che stavamo lavorando con Miyamoto, il creatore di Mario. Non dovevamo tirarci indietro solo perché volevamo uscire a festeggiare il venerdì sera. Tutti pensavano fosse stupido, che ci costringessero a farlo
Eurogamer: Quando Mario 64 è uscito nei negozi non c'è stato un momento in cui avete realizzato di aver creato qualcosa di importante?
Goddard: No, assolutamente.
Eurogamer: Mi sembra strano. Ti sembra strano quando gente come me è interessata a questo tipo di cose?
Goddard: Mi sembra un po'... inquietante.
Eurogamer: Grazie per essere stato onesto...
Goddard: È solo che non credo di meritare questo tipo di ammirazione.
Eurogamer: Beh, non ho mai detto che tiammiro...
Goddard: In quel momento non hai modo di sapere se qualcosa avrà successo. Dal tuo punto di vista, in quel momento, è solo un altro gioco Nintendo. Non puoi sapere se sarà un successo, un flop o qualcos'altro. E non puoi sapere se è una vittoria prima di un anno e mezzo dall'uscita.
Eurogamer: Ma Mario sembra importante grazie al fatto che, apparentemente, risolveva i problemi dei giochi in 3D, con la sua telecamera e tutto il resto, quasi da un giorno all'altro.
Goddard: Ci è voluto più di un anno per rendersi conto che, in realtà, quella era una meccanica di gioco valida. A quei tempi il 3D era così sperimentale che persino il team di Mario si stava chiedendo se fosse la cosa giusta da fare. La telecamera dovrebbe fare questo e quell'altro? Abbiamo ragione a fare questo?
Goddard: Ci sono stati ostacoli come Sega che aveva il brevetto sul premere i pulsanti per cambiare la visuale della telecamera (anche se effettivamente eravamo legalmente autorizzati a usare questo tipo di visuale). È qualcosa che sarebbe inaudito, al giorno d'oggi: possiamo usare questa visuale anche se Sega ha la stessa visuale? Sega aveva un brevetto, noi lo volevamo su Star Fox e il nostro avvocato ci disse che non potevamo farlo. Così abbiamo dovuto trovare un modo per aggirare il brevetto.
Goddard: Quell'epoca era molto basata sui brevetti, molto rigidi su cosa potevi e non potevi fare, non era il far-west che tutti pensano che fosse. Dovevi lavorare un sacco intorno a stupide regole, beghe legali e gente che non sapeva se il 3D avrebbe dovuto essere in questo modo o in quell'altro.
Eurogamer: In definitiva, non era tutto divertente come immaginavo che fosse.
Goddard: No, non lo era. Oggigiorno tutto va bene, senza restrizioni.
Eurogamer: Andando avanti velocemente fino a 1080 Snowboarding, come hai fatto a presentare i tuoi progetti a Nintendo?
Goddard: È stato grazie a Takao Sawano. Era un manager ma era davvero concentrato sul fare cose divertenti. 1080 era un prototipo di IK. La faccia di Mario era basata su IK, inverse kinetic, le ossa, quando ne tiravi una, si allungavano. Quindi pensavo che il progresso naturale per quello fosse avere un modello reale: volevo un modello animato programmato per intero proceduralmente che, quindi, reagiva e si animava da solo, fondamentalmente.
Eurogamer: Sembra un po' quello che successe con l'Euphoria e Rage.
Goddard: Sì, essenzialmente stavo cercando di creare una fisica delle ragdoll più realistica, grazie alle nuove animazioni delle articolazioni. Non mi ricordo perché ma a un certo punto ho pensato che un gioco di sci sarebbe stato un buon modo per mostrare questo genere di progressi. Ma siamo finiti con questo ragdoll agitato sugli sci che scendeva un pendio: divertente, all'inizio, ma abbastanza ridicolo. La cosa forte dello snowboard era decollare e fare i tricks. Lo sci è come il golf: ha questa antica reputazione, mentre lo snowboard era come lo skateboarding. [Inoltre, a quanto pare, Miyamoto era appena andato a sciare e quindi voleva un gioco di sci].
Eurogamer: Quanto era grande il team?
Goddard: Cinque o sei persone. Molto piccolo.
Eurogamer: Quindi era un progetto ristretto, sostanzialmente.
Goddard: È stato simile a come è nato Splatoon. A quell'epoca non facevano cose del genere. Quella successiva sarebbe stata Pikmin.
Eurogamer: 1080 Snowboarding è stato un precursore di molti giochi sugli sport estremi.
Goddard: Jake [Kazdal, il fondatore di 17-bit, presente anche lui all'hanami], allo stesso tempo, stava lavorando a Twisted Edge. Ero convinto che eravamo i primi a fare un gioco di snowboard ma è saltato fuori che, nello stesso momento, qualcun altro stava lavorando su un gioco di snowboard.
Eurogamer: Com'è il tuo rapporto con Nintendo, al momento?
Goddard: Siamo in buoni rapporti. Il punto è che con Vitei Backroom stiamo per rilasciare Paper Valley che è un gioco davvero simpatico sugli aerei di carta. Oltre a questo, stiamo lavorando su altri tre progetti, roba davvero forte per VR, e credo sia molto più interessante che rigurgitare giochi su Switch, che è quasi l'unica opzione che hai al giorno d'oggi in Nintendo. Ci sono tante persone a lavoro su Switch, un hardware davvero bello. Credo solo che il VR sia più divertente.
Eurogamer: Nintendo è cambiata tanto da allora?
Goddard: È molto simile. È cambiata un po' da quanto Iwata-san ci ha lasciati. Adesso è molto più concentrata sul guadagno. Iwata era davvero convinto che la loro filosofia di base doveva essere incentrata sui giochi, non sui soldi. Adesso è quasi interamente sui soldi, cosa che mi preoccupa un po'.
Eurogamer: Cosa ci dici di te?
Goddard: Credo che mi trasferirò a Ishigaki. È quella la mia casa, adesso. Essere completamente circondato dalla natura, vicino al mare, vale la pena fare il pendolare, è solo un paio di ore di distanza. È molto più reale di quanto Kyoto possa mai essere.
Vitei Backroom ha appena rilasciato Paper Valley, un gioco per VR (rilassante quasi quanto Giles stesso) su Oculus Store. Grazie a Rich McCormick dell'aiuto per la realizzazione di questa intervista.