Sucker Punch ci racconta Ghost of Tsushima: ispirazioni, cultura nipponica e identità dello studio - intervista
"Senza il supporto della localizzazione giapponese sarebbe stato molto più complesso."
Ghost of Tsushima forse non è l'open world più rivoluzionario, ma è certamente splendido e i suoi stilosissimi combattimenti ravvicinati ci garantiscono il classico divertimento firmato Sucker Punch.
L'aspetto più interessante, comunque, è quello delle fonti di ispirazione. Sucker Punch e Sony hanno puntato molto sulle citazioni cinematografiche sia nel marketing che nel gioco vero e proprio. Prima del lancio ho intervistato il co-founder e producer di Sucker Punch Brian Fleming, e l'art director e creative director di Ghost of Tsushima Jason Connel, scoprendo che quelle fonti di ispirazione sono molte più di quanto pensassi. Lo studio ha cercato di andare oltre l'estetica dei film di samurai di metà Novecento? E come ha fatto un team americano a rappresentare fedelmente cultura e storia nipponiche? L'era feudale è una delle più facilmente fraintendibili, e la cultura giapponese rischia di essere rappresentata tramite stereotipi quando la firma è occidentale. (Prima di passare all'intervista, dobbiamo anche dire che dopo il lancio del gioco sono nate interessanti discussioni in senso opposto, e cioè ha fatto capolino la tesi secondo cui Sucker Punch abbia glorificato un po' troppo un periodo complesso.)
La firma di Sucker Punch è evidente anche da tanti piccoli dettagli come alcuni effetti particellari davvero degni di nota e dall'attenzione verso le peculiarità del controller di PS4, e così nell'intervista abbiamo anche parlato dell'identità dello studio di sviluppo e di cosa abbiano in mente per PlayStation 5 (ma non aspettatevi grandi annunci, ovviamente).
In Ghost of Tsushima quanto c'è di vostri precedenti giochi come Sly Cooper o inFamous?
Brian Fleming: Ovviamente la storia aziendale è importante per il nostro percorso e quindi è chiaro che quei giochi abbiamo un'influenza sul presente. Però, penso che Ghost of Tsushima sia stato un punto di svolta per noi per il suo ampio respiro e per i combattimenti corpo a corpo, quindi abbiamo dovuto ripartire da zero su alcuni fronti. Questo è anche uno dei motivi per cui abbiamo deciso di lavorare su una nuova IP: volevamo metterci alla prova e rinnovarci per diventare migliori, più forti, più capaci di affrontare progetti nuovi. Per chiudere però devo dire che non saremmo stati capaci di creare Ghost of Tsushima se non avessimo quelle esperienze pregresse a farci da fondamenta.
Eurogamer: Credete ci siano delle caratteristiche tipiche che accomunano i giochi Sucker Punch?
Brian Fleming: Io penso di sì, e poi lascerò la parola anche a Jason. Secondo me il fil rouge è nel tentativo di far scomparire il controller dalle mani per immergere il giocatore: quando combatti non deve sembrarti di premere semplicemente pulsanti, ma hai la sensazione di compiere davvero le azioni. È uno degli obiettivi che abbiamo sempre avuto, a partire da Sly Cooper per arrivare fino a Ghost of Tsushima.
Jason Connell: Sì quella è una delle cose che distinguono Sucker Punch fin dagli esordi, quella ricerca della fluidità dell'esperienza. Aggiungerei anche che tutti i giochi Sucker Punch sono artisticamente interessanti o unici, e hanno uno stile interessante. Specialmente con il nostro ultimo gioco usiamo arte e fedeltà grafica non solo per far dire ai giocatori che abbiamo una bella grafica, ma anche per farli fermare a osservare le ambientazioni per la loro bellezza. Nel nostro precedente gioco puntavamo molto sugli effetti particellari per stupire i giocatori che non si aspettavano si potessero fare cose del genere, e ora usiamo quelle particelle in una maniera completamente nuova, per esagerare la bellezza dell'isola e dell'illuminazione e, ancora, per far fermare i giocatori a chiedersi come siamo riusciti a raggiungere questi risultati.
Eurogamer: Volevo giusto chiedere di quei particellari perché sono tra le cose che più chiaramente arrivano da inFamous.
Brian Fleming: Sì, il sistema di effetti è tra le cose più iconiche che abbiamo portato con noi! Sicuramente si tratta di un ottimo esempio di un'area dove Ghost of Tsushima sta sulle spalle dei predecessori: quel sistema era stato costruito per fare un gioco coi supereroi quindi è molto performante e lo sfruttiamo alla grande in Ghost.
Eurogamer: È stato difficile spostarsi da uno stile cartoonesco al fotorealismo? Ha cambiato qualcosa nei vostri processi produttivi o, per dire, nelle meccaniche del gioco?
Brian Fleming: Fa tutto parte del tono del gioco. Sly Cooper è un cartone animato esagerato sia per come è scritto che per lo stile grafico, per dire. Se invece fai un gioco su un supereroe c'è un altro tipo di esagerazione, a un livello più basso di un cartone, ci sono regole più chiare. Ghost of Tsushima è ancora meno esagerato. Penso sia come imparare a suonare uno strumento: all'inizio è tutto un po' sopra le righe, ma poi, via via che impari e maturi, riesci a evocare emozioni più complesse. Magari persino suonando lo stesso identico pezzo, solo che ora lo suoni con maggiore consapevolezza emotiva, e non ti fermi all'aspetto meccanico. Quindi penso che ora siamo in grado di comunicare emozioni e pensieri più sofisticati, fa parte della nostra crescita come studio.
Eurogamer: Avete aperto questa generazione lanciando un gioco, e ora la state chiudendo con un altro gioco. Sono state due esperienze diverse?
Jason Connell: Sono due esperienze decisamente diverse e, per ricollegarmi a quello che ha detto Brian prima, gli inizi sono diversi perché hai questa nuova tecnologia di fronte a te e stai cercando di capire come usarla al meglio e come dare un sapore unico al tuo gioco, nel caso in questione inFamous: Second Son. Lungo il cammino che ci ha portato a Ghost ci siamo fermati molto a studiare come usare la tecnologia perché è un gioco completamente diverso: ampi spazi e foreste generate proceduralmente. Non avevamo molti alberi, per dire, il nostro lead environment artist diceva che probabilmente possiamo contare il numero di alberi nel nostro gioco precedente, mentre qui non è assolutamente possibile, sono milioni.
Brian Fleming: Un numero c'è, sono tre milioni di alberi!
Jason Connell: Tre milioni di alberi! Pazzesco, no? Ovviamente non puoi posizionarli tutti a mano e devi sviluppare una tecnologia che lo faccia al posto tuo mantenendo un' intenzione artistica. Ora che siamo alla fine del viaggio è molto emozionante, ovviamente siamo molto esigenti verso noi stessi ogni volta che creiamo una nuova IP.
Brian Fleming: Parlavo prima di come fosse diverso saltare da una piattaforma all'altra, dal lavorare costantemente su PS4. Penso che sia stato un vantaggio non cambiare console tra i due giochi. Abbiamo esordito su un nuovo hardware con una serie già nota e poi lavorato alla novità una volta fatto il salto, penso ci abbia aiutato e mi piacerebbe prendermi i meriti di questa strategia vincente. Ci abbiamo pensato ovviamente, ma penso che sia andata bene visto che avevamo una base tecnica su cui costruire e così, mentre reinventavamo tutto, non dovevamo anche adattarci a un nuovo hardware.
Eurogamer: Com'è andato lo sviluppo? Diciamo in termini di crunch.
Brian Fleming: Penso che i videogiochi siano difficili da fare, ma penso che a noi sia andata piuttosto bene tutto sommato. La sfida più grande, ovviamente, è stata la necessità di passare a un modello di lavoro da remoto, cosa che ha portato con sé non pochi problemi. Penso che le settimane più stressanti siano state quelle in cui abbiamo spostato tutti fuori dallo studio perché c'era davvero tanto lavoro da fare. La crisi maggiore è stata la transizione dovuta al COVID-19.
Eurogamer: Ovviamente PS5 è una delle grandi novità dei prossimi mesi. C'è qualcosa che vi stimola particolarmente pensando a cosa potrete fare sulla nuova piattaforma?
Jason Connell: Francamente sono stato talmente concentrato su quello che stiamo facendo che non ci ho pensato molto. Sono sicuro che avremo modo di esplorarne le possibilità e, per dire, ricominciare a parlare di particelle. Saranno tempi stimolanti. Sono stato tra i primi artisti che hanno lavorato su PS4, sui nuovi dev kit, ed è stato davvero stimolante provare a sviluppare nuove possibilità. Sarà fantastico, ma la mia testa è talmente tanto concentrata su Ghost of Tsushima, e sulla risposta dei giocatori, che non ho avuto il tempo di pensarci molto.
Brian Fleming: Se sei uno degli ultimi grandi giochi per una console è abbastanza fisiologico non essere tra i primi sul nuovo hardware. Detto questo, penso che il feedback aptico del controller sia tra le cose che mi intrigano di più. Abbiamo parlato di come ci piace immergere i giocatori nel gioco tramite i controller, e ogni caratteristica che aumenta le nostre possibilità di dare ai giocatori maggiore feedback su cosa sta succedendo penso sia una grande opportunità. Per Sucker Punch credo sia uno degli aspetti particolarmente interessanti, non trovi?
Eurogamer: Sì, certo, l'ho notato in Ghost of Tsushima. Usate molte caratteristiche del controller, più di tanti altri giochi, magari anche perché siete uno studio first party?
Brian Fleming: Per esempio penso a usare il controller come fosse una bomboletta spray, impugnarlo in un modo particolare e agitarlo. Penso sia una parte importante dell'esperienza e dunque abbiamo impiegato molto tempo provando un po' di tutto. Alla fine si tratta del punto di contatto tra il giocatore e il gioco, quindi siamo molto attenti a farlo funzionare.
Jason Connell: È la filosofia del nostro studio, anche su piccole cose come per esempio il rumore del vento che viene dall'altoparlante sul controller. Semplicemente ci sembrava una bella cosa, quindi sì, usiamo il controller in modi particolari. È proprio un approccio diverso che incoraggia le persone a pensarci.
Eurogamer: Credo di sapere già la risposta, ma state già pensando di portare Ghost of Tsushima su PS5?
Brian Fleming: Stiamo lavorando agli ultimi ritocchi prima di raggiungere il lancio, inizieremo a parlare di PS5 e di cosa ci riserva il futuro nelle prossime settimane!
Eurogamer: Va bene, non preoccupatevi, non continuerò il quiz su controller e PS5! Avete parlato già di come siete stati influenzati dal cinema. "13 assassini" è tra i titoli che vengono in mente per il combattimento, e ovviamente un sacco di Kurosawa. Avete cercato di creare un gioco sui samurai, o sul genere dei film sui samurai piuttosto?
Brian Fleming: Sembra una risposta furba, ma direi entrambi. Molte delle nostre influenze sono nel cinema e non solo Akira Kurosawa, ma proprio cinema in generale, anche da quei film che a loro volta si sono ispirati ai film sui samurai come i western o Star Wars. È difficile separare le cose perché sono strettamente legate tra loro nel modo in cui vediamo i samurai. Ovviamente gran parte di quello che abbiamo fatto è ispirato a fatti storici, come le armature che magari non si vedevano nei film, quindi sì, direi entrambi.
Eurogamer: Com'è stata la fase di ricerca? Avete già in parte risposto, ma mi piacerebbe sapere com'è stato lavorare con consulenti e com'è andata in generale.
Brian Fleming: Ci siamo avvalsi del parere di alcuni consulenti per molti aspetti del gioco. Agli inizi dello sviluppo ci siamo messi in contatto con il team che si occupa della localizzazione giapponese (con cui avevamo già lavorato) e hanno dato i loro pareri sul gioco e sul concept. Ci hanno offerto di raggiungerli in Giappone per fare un viaggio di ricerca, così i director e alcune persone in ruoli chiave ci sono andati in due viaggi. Abbiamo fatto un sacco di ricerche, scattato tante foto e visitato musei. Siamo anche andati sulla spiaggia di Komodo Hama, dove l'invasione è successa davvero.
Nel corso degli anni, poi, abbiamo chiesto a consulenti di revisionare il copione e spiegarci le differenze culturali. Alcuni di questi rapporti di consulenza sono stati davvero utili, il team audio giapponese ha registrato per noi uccelli e cerbiatti per darci suoni autentici da mettere nel gioco.
Eurogamer: Siete uno studio americano alle prese con un gioco basato sulla storia e sulla cultura nipponica. Il Giappone può essere difficile da capire per gli occidentali, come avete fatto?
Jason Connell: Penso sarebbe stato molto più difficile se il team di localizzazione giapponese non ci avesse aiutato così tanto fin dalle prime fasi. Non è stato facile, ma direi che anche creare Seattle per inFamous lo è stato. È casa nostra, viviamo in quell'area e qualcuno addirittura fuori Seattle quindi è stato facile immaginarsi come poteva essere, ma anche allora c'era il rischio di voler creare ogni edificio pietra per pietra, di puntare al realismo puro, ma anche allora abbiamo deciso di non fare così. Volevamo dare la sensazione di essere a Seattle, no? E la stessa cosa vale anche qui.
È stato molto difficile perché non c'è una vastissima documentazione disponibile sul Giappone feudale del tredicesimo secolo. Persino a voler fare pietra per pietra sarebbe difficile. Bisogna trovare l'equilibrio tra intrattenimento, mantenere alto il divertimento, e rappresentare con fedeltà l'ambientazione e per quello abbiamo avuto davvero un sacco di aiuti. Alla fine è quello l'obiettivo: una rappresentazione fedele che sia però divertente e godibile per i giocatori.
Eurogamer: Parlando dell'aspetto artistico, ci sono degli esempi di immagini o oggetti antichi che avete utilizzato?
Jason Connell: Come artista tendo a rivolgermi verso fotografia e illuminazione. Di solito guardo il mondo attraverso una lente e penso al cinema come ispirazione, ecco perché parliamo così tanto di film sui samurai, perché è la chiave di lettura principale che uso per tradurre nel gioco le ispirazioni. È lì che è nato il vento. Tra i primi obiettivi che ci siamo posti c'era di avere un mondo dove tutto fosse in movimento. Non sapevamo bene come fare ma abbiamo capito molto presto che più che di contrasto, colore e composizione, era di movimento che volevamo parlare perché tutti i film del genere, Kurosawa specialmente, hanno il movimento in ogni inquadratura. Per colore e composizione mi sono ispirato a "Ran", mentre "La sfida del samurai" è stato utile nella caratterizzazione.
Quando sono andato in Giappone non sapevo cosa fosse una tsuba: avevo guardato un sacco di film sui samurai ma non sapevo cosa fosse quell'anello sulla spada, non capivo la terminologia. In Giappone siamo andati in questo quartiere pieno di negozietti di antichità e in uno di questi il proprietario ci ha portato sul retro. Ci ha chiesto se davvero volessimo comprare costosi oggetti d'antiquariato, ma si è messo a ridere quando gli ho chiesto qualcosa del tredicesimo secolo. Nessuno ce l'ha, però siamo stati fortunati! Avevano oggetti del quattordicesimo secolo, delle tsuba (le guardie delle katane) ornate da meravigliosi dragoni e da lussureggianti prati. Sono oggetti da collezione rarissimi ed ero in ammirazione per l'abilità di chi li aveva creati. Sono patinati, pesanti e invecchiati dal tempo, ma in ottime condizioni. È stato bellissimo vederli da vicino e pensare che qualcuno li aveva creati così tanto tempo fa. Volevamo trasmettere queste sensazioni ai giocatori, quindi sì, questo è decisamente un esempio di fonti d'ispirazione.
Eurogamer: Penso sia parte della natura ciclica di questi film, no? In parte erano ispirati ai western, e in parte erano i western a ispirarsi a loro. Cavalcare in una città e risolverne i problemi a colpi di spada, insomma. Avete guardato film anche di altri generi?
Jason Connell: Nessuno di così influente. Cioè, c'è "Per un pugno di dollari" per esempio, ma è il remake di un film di Kurosawa! È quello il problema, molti di questi film sono remake diretti o film ispirati pesantemente al cinema nipponico. Quindi abbiamo pensato di andare direttamente alla fonte.
Parlando dell'aspetto puramente artistico direi che ci sono giochi come Breath of the Wild e Shadow of the Colossus a cui ci siamo ispirati. Sono due giochi giapponesi, di studi giapponesi e con un'estetica molto giapponese. Volevamo qualcosa di un po' più realistico per portare alla vita il Giappone feudale, ma per esempio le vedute più pulite sono ispirate anche a loro.
Brian Fleming: Penso che Red Dead Redemption 2 ci abbia influenzati, anche. Provi tante filosofie diverse e sono sicuro che qualcuno ha pensato a noi come a un Red Dead coi samurai. Abbiamo occupato quello spazio mentale insomma, quindi certamente l'influenza c'è stata!