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Tales of Monkey Island: Launch of the Screaming Narwhal

Rhum, maledizioni e pirati.

Superati però i primi momenti di smarrimento, dopo aver ascoltato il nostro pirata apostrofare il proprio nemico di sempre Le Chuck, fingendo quella sicurezza fantozziana che da sempre lo contraddistingue, non si può che sorridere, vedendo un vecchio amico finalmente tornato in pixel e ossa.

E chi per la prima volta si troverà sulle barche dei bucanieri, inizierà a chiedersi chi sia quello strano pirata e cosa ci faccia in mezzo all'oceano con una bottiglia di birra di radice come arma segreta. Che sia questo il famoso segreto di Monkey Island? Ammetto sinceramente che all'inizio mi sono sentito spiazzato dalla formula scelta: il formato episodico mi sembrava un azzardo pensando all'ampio respiro a cui le avventure del marito della governatrice Elaine ci avevano abituato, ma alla prova dei fatti la decisione sembra essersi rivelata vincente, impostando il tutto come una sorta di romanzo diviso in più capitoli.

Tesi supportata dal fatto che attualmente è possibile comprare unicamente l'intera serie per poi procedere al download di ognuno dei cinque “atti” previsti a cadenza mensile.

E' proprio lui, Guybrush, e vuole diventare un temibile pirata...

Analizzando in prima battuta quello che è uno degli elementi cruciali per le avventure grafiche, ovvero la parte dedicata agli enigmi, si può apprezzare la cura e la capacità di ricalcare quanto di meglio l'antica maestra Lucas (qui nel semplice ruolo di detentrice del marchio) seppe insegnare: niente di particolarmente complesso, ma tutto amabilmente e logicamente assurdo, sulle orme della buona scuola del pollo con la carrucola in mezzo.

L'utilizzo dell'inventario e la combinazione degli oggetti possono di contro risultare forse macchinosi almeno inizialmente, ma con il proseguo del gioco la buona integrazione con il contesto permette di superare agilmente anche questo piccolo ostacolo.

Complessivamente la longevità viene così portata intorno alle cinque ore, ma per i nostalgici e per chiunque vuole assaporare il lavoro di cesello plasmato da Mike Stemmle e soci, ci si può attestare tranquillamente sul doppio del tempo per cogliere ogni sfumatura e ogni descrizione, capaci di strappare un sorriso quando meno ce se lo aspetta (cosa che, vista la mancanza di avventure di un certo livello nel panorama attuale, consiglio vivamente).

Il doppiaggio, seppur unicamente in lingua inglese (almeno per il momento) è qualitativamente davvero buono, tanto che anche per i meno anglofoni l'utilizzo dei sottotitoli può essere considerato spesso superfluo; espressioni caricaturali, onomatopeiche e versi di scimmia (non a caso stiamo parlando di “monkey” island) la fanno da protagonisti, rendendo ogni scambio un piccolo siparietto dove ironia, falso cinismo e una buona dose di macabro umorismo faranno da sfondo ad una trama ottimamente orchestrata a base di maledizioni voodoo, crudeli vendette e isole misteriosamente misteriose che ci porteranno dolcemente ad un finale (ovviamente) aperto.