Thalità Malagò: esport, metaversi e il gaming che verrà
A Round One abbiamo intervistato il segretario generale di IIDEA per capire il presente e il futuro dei videogiochi.
Nella giornata di ieri siamo stati a Torino per assistere all'inaugurazione della terza edizione di Round One, un acceleratore per l’intera industria degli esport organizzato da IIDEA, associazione di categoria dell'industria dei videogiochi, pensato per facilitare le opportunità di business intra ed extra settore.
Con l’occasione abbiamo avuto modo di intervistare Thalità Malagò, segretario generale dell’associazione, per fare il punto della situazione sull’industria videoludica italiana, e parlare di esport e metaversi, protagonisti del palinsesto di quest’anno.
Guardando il programma di questa edizione del Round One si notano due anime, quella dei metaversi e quella degli esport. Due fenomeni, però, che non paiono molto attinenti. A cosa è stata dovuta questa particolare abbinata?
Quest’anno abbiamo voluto ampliare il punto di osservazione di Round One senza concentrarci verticalmente sugli esport ma allargando lo sguardo ad altri ambiti sui quali i videogiochi possono avere un impatto. Il Metaverso è una nuova frontiera su cui il gaming ha già avuto effetto e crediamo che i brand, soprattutto quelli extrasettore, possano avere interesse a esplorarne le opportunità con progetti mirati. Il nostro è un programma trasversale, comunque, e quest’anno parliamo non solo di esport e metaversi ma anche di musica, moda e sostenibilità. Focalizzarci solo sugli esport può essere riduttivo per chi non conosca il settore e voglia guardare ai videogiochi nel loro complesso.
Il fenomeno degli esport è vivo e quanto mai interessante da studiare, però è stato per lungo tempo gonfiato dal marketing, il che ha finito per dargli responsabilità troppo grandi. Ora l’attenzione si è spostata sui metaversi, il che a ben guardare è una buona notizia perché gli esport possono riprendere il loro percorso di crescita organica. Qual è la posizione di IIDEA al riguardo?
Siamo d’accordo e lo conferma la ricerca sugli esport che abbiamo appena divulgato. Seppure in modo più contenuto rispetto ad altri paesi, il fenomeno sta crescendo anche in Italia. L’impatto economico di 50 milioni di euro di indotto complessivo non sarà elevato ma è comunque in aumento rispetto all’anno scorso, e siamo pur sempre in un periodo post-pandemico, il che non permette di sfruttare appieno le potenzialità del settore. C’è uno zoccolo duro di aziende che ha investito negli esport e continua farlo, mentre alcuni team si stanno anche espandendo all’estero.
C’è una piccola industria a livello locale, bisognerebbe compiere un salto per andare nella direzione della Spagna o della Francia, ma mancano ancora le condizioni generali, un sistema che invogli sempre più i brand a investire nel settore. Noi facciamo la nostra organizzando ad esempio il Round One, evento pensato per mettere in mostra le potenzialità del settore, e abbiamo discusso col precedente governo su come rendere più semplice a livello legale l’organizzazione dei tornei e delle manifestazioni a premio, nonché come adeguarsi alle pratiche di altri paesi europei dove lo sviluppo del gaming è stato più consistente.
Questo però è in sostanza il programma dell’anno scorso, il che lascia intendere che le cose non siano cambiate molto negli ultimi dodici mesi…
Purtroppo è così ma per ottenere certi risultati serve tempo. Per quanto riguarda lo sviluppo dei videogiochi in Italia, c’è voluta una decina di anni per far capire alle istituzioni quale enorme occasione sprecata fosse il non investire nel nostro settore. Con tax credit e acceleratori ora stiamo riscontrando l’interesse delle istituzioni non solo a livello nazionale ma anche regionale. Non credo però che dovremo però aspettare altrettanto tempo per gli esport, che sfrutteranno il lavoro di apripista che abbiamo svolto finora, nonostante il Covid ne abbia rallentato il percorso di crescita.
I vari Statista e Newzoo prevedono per gli esport nel 2023 un giro d’affari di 2 miliardi di dollari, che salgono a 200 se si considera il gaming nel suo complesso. Parliamo quindi di un fenomeno, gli esport, che vale l’1% del mercato di riferimento. Da cui lo domanda: si parla troppo degli esport o troppo poco dei videogiochi?
Credo non si parli abbastanza di videogiochi ed esport in generale, soprattutto in rapporto ad altre forme di intrattenimento tradizionali. Il reale valore e l’impatto sociale del gaming non viene ancora riconosciuto completamente e non scinderei gli esport dai videogiochi, che non esisterebbero senza di essi: sono un tutt’uno le cui parti sono difficili da distinguere.
Quant’è difficile essere segretario generale di IIDEA in un paese in cui le attività di lobbying vengono vanificate da governi che cambiano costantemente e da cui i grandi publisher si stanno ritirando?
È vero che i publisher stanno riducendo la loro presenza sul nostro territorio ma è anche vero che il mercato del gaming sta crescendo in Italia, per cui anche se manca in Italia una filiale (o ce n’è una più contenuta), ciò non significa che ai publisher non interessi ciò che accade in Italia a livello istituzionale. Continuiamo ad avere il loro supporto, cui si aggiunge un sostegno a livello europeo. C’è poi una crescente industria locale, nella quale ripongo molte speranze, che negli anni ha già dato segnali di forza: penso alle acquisizioni internazionali, a chi (e non voglio fare nomi e cognomi) ha sviluppato grosse IP che stanno avendo successo e risonanza a livello internazionale. Certo, non parliamo di titoli tripla A ma il mondo dei videogiochi non vive solo di quelli.
Non a caso, parlando con alcuni sviluppatori nel corso del Press Start, per la prima volta ho sentito lamentare la mancanza di personale qualificato per l’Italia. Abbiamo passato anni a domandarci come collocare tutte le risorse che venivano sfornate dalle tante facoltà accademiche, ora ci troviamo in una situazione opposta…
Si tratta senz’altro di un bel segnale. Press Start è un evento che è stato fortemente voluto da un gruppo di soci developer che se lo sono costruito e finanziato, in risposta all’esigenza di trovare risorse qualificate e di reclutare nuovi professionisti. Abbiamo creato un momento di orientamento ed è stato bello vedere persone che rivestono ruoli chiave in alcune aziende, venire a spiegare cosa significhi fare il programmatore, l’artista o il lead designer, e poi incontrare gli studenti in apposite aree meeting. La parte più emozionante è stata però quella degli award: abbiamo ricevuto oltre 30 candidature in un mese da tutta Italia e le giurie che hanno analizzato i prototipi dei progetti che ci sono pervenuti, riscontrando una grande professionalità.
In chiusura, una domanda: ci sono altre IIDEA in Europa che si prefiggono obiettivi probabilmente comuni ai vostri. Come funziona il vostro coordinamento a livello continentale?
A livello europeo c’è l’ISFE, con sede a Bruxelles, di cui IIDEA è membro. Di questa federazione fanno parte le singole associazioni dei principali paesi europei come Francia, Spagna, Portogallo per il sud Europa, e ovviamente Grand Bretagna, Germania, Polonia e molte altre. Siamo una grande famiglia e c’è un lavoro di coordinamento europeo sempre più importante; ferme restando le diversità specifiche delle singole nazioni, c’è un coordinamento sempre più stretto sui grandi temi dell’industria.
Noi facciamo parte del board di questa federazione e del gruppo delle associazioni nazionali che s’incontrano periodicamente per fare il punto della situazione. Spesso nascono collaborazioni, e ci ispiriamo a vicenda prendendo ad esempio le azioni dei singoli territori. E così come le associazioni fanno pressioni sui governi locali, ISFE a sua volta agisce sul governo centrale di Bruxelles. Il risultato più grande ottenuti dall’ISFE? Fin qui, l’introduzione del PEGI.