Way of the Samurai 3
Aquire ci prova ancora.
Il franchise di Way of the Samurai, rilasciato per la prima volta su PlayStation 2 nell’ormai lontano 2002, si è sempre distinto grazie a un concept di base molto particolare, volto a dare ai giocatori la massima libertà decisionale per tutto il corso dell’avventura. Come ampiamente dimostrato dai primi due capitoli della serie, le buone idee non bastano però per fare un capolavoro, e alla luce di questo è dunque lecito chiedersi: Aquire avrà imparato la lezione arricchendo il suo affascinante concept con una struttura “di contorno” all’altezza delle aspettative?
Way of the Samurai 3, primo titolo next-gen della compagnia nipponica, propone un concept pressoché identico ai suoi predecessori, e ciò vuol dire che come da tradizione avremo la possibilità di modellare la realtà di gioco, e dunque la nostra esperienza ludica, nella maniera ritenuta più opportuna. Bene o male? Rettitudine o immoralità? La scelta sarà soltanto nostra.
L’avventura, ambientata nel Giappone feudale, più precisamente durante il periodo Sengoku, ci vede impersonare un samurai senza nome (personalizzabile attraverso pochi, semplici parametri estetici) con cui potremo confrontarci con tre diversi clan, tutti intenzionati a salire al potere.
In questa pericolosa realtà, come detto in precedenza, non vi saranno limitazioni di sorta ma, al contrario, potremo sempre comportarci nella maniera che riterremo più opportuna.
Potremo allora schierarci con un particolare clan nel tentativo di sconfiggere gli altri, curando esclusivamente i nostri interessi o addirittura facendo il doppio gioco per appagare la nostra sete di sangue.
A fronte degli oltre 15 finali a disposizione, le possibilità d’azione sono davvero notevoli, garantendo a chiunque voglia scoprire ogni più piccola sfaccettatura del prodotto un’esperienza duratura e stimolante, ciononostante alcuni potrebbero non trovare sufficienti stimoli per completare l’avventura più di una o due volte.
La libertà non riguarda però la sola storyline principale, bensì l’intera realtà proposta, NPC compresi. In base al nostro comportamento potremo infatti modificare il modo in cui i personaggi presenti si relazioneranno con noi, andando anche a modificare l’eventuale possibilità di ottenere particolari incarichi (in poche parole, le quest secondarie).
Il nostro comportamento “attivo” non è però l’unico modo per relazionarsi con gli altri; il semplice fatto di vagare con la spada sguainata verrà infatti letto dai personaggi come un segno di aggressività, e potrebbe dunque suscitare in loro paura, portandoli a fuggire spaventati, o rabbia, inducendoli ad attaccarvi con violenza.
Oltre alle missioni legate al filone narrativo principale, ovvero quello relativo alla diatriba fra i clan, il titolo propone anche un gran numero di quest secondarie che, pur non brillando per varietà, permettono di estendere notevolmente la longevità dell’esperienza.
La maggior parte di queste quest sono purtroppo banali e prive di grande utilità ai fini dell’esperienza (come ad esempio la missione in cui è necessario recuperare le mutande di un’anziana donna situata nei pressi del fiume), ma nonostante questo il problema deriva dall’impossibilità di attivare più di una missione secondaria alla volta.