Amy Hennig: 30 anni nell'industria videoludica - intervista
'Penso che sia perfettamente positivo avere alcune esperienze che non si basino solo sull'alto tasso di sfida offerto ma piuttosto sulla bellezza del viaggio da intraprendere.'
Sono passati 30 anni dal primo gioco di Amy Hennig, Electrocop, e ne sono trascorsi 8 dall'addio alla sua più famosa creazione: la serie Uncharted di Naughty Dog. Influenzato dai classici film di avventura di Hollywood quanto altri titoli come Gears of War, Uncharted rappresenta il punto culminante dei blockbuster d'azione nell'industria videoludica. Si tratta di uno stile produttivo a cui Hennig, ex-studentessa di cinema, è associata indelebilmente. Anche se, non lo nascondiamo, il nostro amore è riservato alla sua prima opera in vesti di director: il gioco del 1999 che porta il nome di Legacy of Kain: Soul Reaver. Come lei stessa ammette, tuttavia, si tratta di un modo di fare videogiochi che è diventato insostenibile oggigiorno, a causa di investimenti troppo dispendiosi e tempi di sviluppo troppo prolungati in un'industria che sempre più spesso si rende protagonista di storie relative ad ambienti di lavoro poco sani anche negli studi più blasonati. Per questo, probabilmente, è stato cancellato prematuramente il suo ultimo progetto, il misterioso "Ragtag" di Visceral Games basato sulla licenza di Star Wars, con il publisher EA che ha preferito spostarsi dalle esperienze narrative alle agitate acque dei game-as-service.
Hennig ha passato l'ultimo anno e mezzo, dall'abbandono di Visceral Games, riposandosi, riunendosi con la sua famiglia e incontrando potenziali partner. Ha svolto il ruolo di consulente per la compagnia The Void, impegnata nel campo della VR ed ha diretto un corto basato sugli effetti volumetrici per Intel. Oltre a questo, però, ha speso anche il suo tempo lontano dai riflettori dell'industria riflettendo sul suo passato e futuro, cercando di trovare una direzione in quello che definisce "un periodo di grandi cambiamenti". Durante una conferenza alla Reboot Develop Conference di Dubrovnik, recentemente, Hennig ha parlato di guardare oltre le sfide, la padronanza e i fallimenti come criterio principale su cui basare il game design. Appare particolarmente entusiasta delle piattaforme di streaming in tempo reale e suggerisce che la loro incredibile accessibilità può tradursi in un'opportunità per introdurre nuovi generi ad un pubblico più ampio. Dopo la sua presentazione, abbiamo potuto sederci a scambiare qualche parola con Hennig e abbiamo discusso sul tempo passato a sviluppare il gioco di Star Wars, sulle prospettive offerte dallo streaming in real-time e su come quest'ultima tecnologia può cambiare per sempre il modo in cui vengono sviluppati i videogiochi.
Eurogamer:: Abbiamo letto la tua intervista con USGamer, a febbraio, in cui hai detto di non sapere in che direzione muoverti dopo l'abbandono di Visceral Games. Sei conosciuta per produzioni action-adventure fotorealistiche, dall'alto budget e con una spiccata attenzione alla narrativa, tutte cose difficili da realizzare se non ti chiami EA o Sony. Come vanno le cose, oggi?
Amy Hennig: La ragione per cui ho iniziato a lavorare con i videogiochi (invece che con i film, come pianificavo all'inizio) è che mi è capitata tra le mani un'offerta di lavoro su un gioco. Doveva essere una situazione isolata per guadagnare qualche soldo. Andando avanti, però, ho capito che si trattava di una nuova frontiera che aspettava solo di essere esplorata. All'accademia di cinema, in quel momento, stavamo studiando teoria e la storia del cinema, imparando molto su Georges Méliès, sui fratelli Lumiere, su Eisenstein, sulle persone che hanno scritto il linguaggio dei film. Adoravo l'idea di unirmi ad un'industria, ad un medium che era ancora tutto da scoprire.
Al giorno d'oggi, specialmente nel campo dei Tripla-A, c'è la tendenza a creare grossi e costosissimi progetti invece che improvvisare e andare dove ci porta il cuore, come facevamo prima. Molte compagnie lo fanno ancora, gli studi indipendenti lo fanno ancora ma quando parliamo di progetti Tripla-A ad alto budget, è come se le sfide iniziassero a essere più legate alla produzione, all'organizzazione piuttosto che ai problemi da risolvere nel progetto. Non parlo in modo assoluto ma la tendenza è quella, almeno secondo la mia esperienza. Mi mancava davvero tanto la sensazione che si prova ad individuare e risolvere un problema durante lo sviluppo di un gioco. Per questo ho deciso di fare un passo indietro, quando EA ha chiuso lo studio, in modo da tornare in uno spazio in cui le cose sono maggiormente indefinite, in cui ho spazio per dare sfogo all'inventiva.
Per questo motivo ho passato un po' di tempo a contatto con la VR, cosa che trovo ancora oggi piuttosto affascinante, perché si tratta di un ramo dell'industria che sta muovendo i primi passi: non abbiamo ancora imparato a raccontare grandi storie su VR e mi piacerebbe essere parte di quel processo. Ho pensato che, per qualche tempo, potevo usare le mie abilità di storytelling, di creazione di personaggi e contenuti in tempo reale per creare progetti lineari, lasciando da parte l'interattività. Poi ho realizzato che sarebbe stato un vero peccato. Ho passato oltre 30 anni a imparare il ruolo del game designer e non volevo scartare una parte così importante della mia esperienza. A questo punto, in un momento in cui l'intrattenimento interattivo sembra essere più in forma che mai, è arrivato lo streaming. Questa tecnologia è emersa durante lo scorso anno ma non ci ho mai fatto troppo caso. Poi, con l'avvento del 5G ho capito che, nel giro di qualche anno, potrebbe trasformare radicalmente il mondo dei videogiochi e, di conseguenza, ampliare notevolmente la quantità di giochi che riusciamo a creare. È fantastico poter essere parte di questa rivoluzione, poter portare tutto ciò che facciamo ad un pubblico più ampio.
Eurogamer: A proposito di nuovi tipi di videogiochi, siamo interessati a sapere quanto fosse diverso Ragtag, il progetto di Visceral cancellato, dai giochi che ti hanno resa celebre. Ci sono idee su cui ti piacerebbe ritornare?
Amy Hennig:Oh, sicuramente! Ci sono un sacco di cose che mi piacerebbe rivedere, cose su cui ritorno ciclicamente per una serie esperienzapdi ragioni. Adoro le atmosfere dei film del 1930: commedie, avventure, quel tipo di cose. C'è qualcosa che riguarda quell'epoca che mi affascina tantissimo, in cui mi ritrovo particolarmente. Mi piacciono anche i personaggi fuori dagli schemi, quelli che si impegnano per raggiungere uno scopo più elevato. Mi piace poter inseguire quell'idea, non c'è niente di male. Potrà sembrare poco originale se torno sempre sulle stesse tematiche ma forse sto cercando di fare qualcosa di nuovo, allo stesso tempo, chi lo sa?
"Ho capito che si trattava di una nuova frontiera che aspettava solo di essere esplorata"
Ovviamente sono stata assunta per il mio background, per la mia esperienza con Uncharted, per provare a fare la stessa cosa con Star Wars. Come potevano fare a decostruire tutti quei film e creare un'esperienza interattiva che si collegasse alla perfezione con tutto il materiale che viene prodotto oggi? La roadmap, quando sono stata assunta, quando lavoravo a contatto con Lucasfilm teneva conto di un sacco di cose, molte delle quali erano top-secret all'epoca. C'erano i film della saga, quelli stand alone, le serie TV animate e quelle live action e poi c'erano i giochi, ciascuno ambientato in diversi punti della linea temporale. Tutto doveva essere sincronizzato ed essere strettamente collegato al nuovo canone. Era davvero fantastico poter pensare che questo gioco su cui stavamo lavorando sarebbe stato importante quanto i film, che veniva trattato con la stessa serietà.
Per questo ho dovuto prendere tutto ciò che ho imparato in termini di decostruzione di un'avventura pulp e applicarlo a Star Wars, una saga che appartiene a quella categoria ma che fa le cose in modo piuttosto diverso, almeno rispetto alla nostra precedente ispirazione per Uncharted che, ovviamente, era Indiana Jones. Uno degli elementi che differenziano maggiormente Star Wars da Indiana Jones è che, in quest'ultimo caso, rimaniamo in compagnia del protagonista per tutto il tempo mentre gli altri personaggi fanno da contorno. Sono tutti ruoli minori, importanti per la storia ma ben lontani dall'essere co-protagonisti: non si tratta di una squadra nel senso più classico del termine. Quando pensiamo alle squadre pensiamo ai film di rapine come "Dove Osano le Aquile", "Quella Sporca Dozzina" o "Il Colonnello Von Ryan". Tutti quei film parlano di un gruppo disorganizzato di individui (da qui viene il nome in codice Ragtag!) che collaborano per uno scopo comune.
A quel punto ho realizzato un paio di cose: dovevamo realizzare una storia basata su Star Wars e per forza di cose sarebbe stata simile ad Uncharted perché si tratta di due generi molto simili. A differenza di Uncharted, però, avremmo esplorato molto di più il punto di vista degli antagonisti, cosa che con i miei lavori precedenti non ho mai fatto troppo. Se guardate i film che ho citato prima, potrete notare che rimaniamo con i protagonisti per tutto il tempo, non sappiamo mai cose che loro non potrebbero sapere. In Star Wars, invece, non solo vediamo il punto di vista dei nemici ma passiamo anche da un protagonista all'altro. Luke è sempre l'eroe della storia ma anche Han e Leia hanno un ruolo fondamentale, sono co-protagonisti a tutti gli effetti. Lo stesso discorso è valido per Rogue One o per la serie animata Rebels, per esempio: si tratta sempre di storie legate a un team di personaggi. È il DNA di Star Wars, vero?
Perciò ho capito che non solo avevamo bisogno di un'IA piuttosto avanzata per quei personaggi, in modo da farli lavorare come una squadra coesa e ben rodata, ma dovevamo anche avere una serie di protagonisti giocabili da seguire in parallelo perché è così che funziona Star Wars: si raggiungono determinati obiettivi solo lavorando insieme o in parallelo. Usavamo sempre l'esempio della fuga dalla Morte Nera per sottolineare questo concetto. Volevamo emulare quella sequenza, aggiungere quell'ingrediente alla formula base della nostra avventura. È stato fantastico vedere che anche i nuovi film hanno seguito questa filosofia, è davvero questo il DNA della serie. Per noi è stato parecchio deludente non poter mostrare il gioco che stavamo sviluppando perché pensavamo fosse davvero un buon lavoro, una storia avvincente.
Eurogamer: Deve essere stato davvero interessante per te lavorare a Star Wars dopo Uncharted per via del fatto che i film recenti hanno decentralizzato l'attenzione dall'archetipo del personaggio maschile predominante. Il personaggio interpretato da Oscar Isaacs, ad esempio, viene notevolmente ridimensionato ne "Gli Ultimi Jedi". Poi arriva il trailer di Episodio IX in cui è possibile vedere Isaacs vestito come Nathan Drake...
Amy Hennig: Ah, appena è uscito quel trailer molti mi hanno fatto la stessa domanda. Guardate, J.J.Abrams è un grandissimo fan della serie di Uncharted, non è un segreto. Anche noi ammiriamo i suoi lavori, si tratta di una situazione di rispetto reciproco. Non sarebbe una sorpresa per me se quello fosse un omaggio intenzionale (o meno) al personaggio di Nathan Drake. Dovete anche capire, comunque, che quel tipo di abbigliamento è strettamente legato al background del personaggio, è una scelta naturale. Se poi ricorda Nate, beh, tanto meglio!
L'ispirazione per la sequenza principale di Uncharted 2 proviene da Mission Impossibile 3 (diretto da J.J.Abrams), così come il prologo in media res, il flash forward e tutto il resto. Siamo attratti dalle sue opere da tanto tempo e non potete immaginare quanto siamo stati felici quando abbiamo saputo che la sequenza nell'aereo di uno dei film di Mission Impossible è stata apertamente ispirata da Uncharted. Ci facciamo continuamente omaggi a vicenda, in queste due industrie: ci sono un sacco di persone che lavorano nel cinema che sono anche amanti dei videogiochi e viceversa.
Eurogamer: Ci piacerebbe tornare alla relazione tra l'industria cinematografica e quella videoludica ma, prima di lasciare l'argomento Ragtag abbiamo un'ultima domanda. EA ha appena annunciato un nuovo titolo di Star Wars che è stato definito come "un'esperienza narrativa per giocatore singolo"...
Amy Hennig:Davvero interessante.
Eurogamer: Esatto! Come ti fa sentire tutto questo?
Amy Hennig: È strano! Voglio essere completamente sincera con voi, non so quale fosse il piano originale, dopo che il nostro progetto è stato cancellato. L'industria è sempre in continuo mutamento e, nel corso del tempo che ho trascorso in EA, ci venivano fatte richieste molto diverse tra loro in base alle strategie del publisher. Credo che tutti stessero cercando di farsi un'idea su quale fosse la via giusta da percorrere. Penso anche che il gioco di Respawn avesse il beneficio di essere stato sviluppato per larga parte, prima che lo studio venisse acquisito. Vince Zampella è parte del team esecutivo di EA e, per questo, credo che farà di tutto per proteggere gli interessi di Respawn.
Sia chiaro, sono tutte mie speculazioni personali, non ho idea del perché abbiano cambiato idea. Quando stavamo lavorando su Ragtag non si poteva accettare l'idea di lavorare su un progetto prettamente single player. Però lo sapete, le cose cambiano. Credo che la decisione di cancellare Ragtag sia stata presa nell'estate del 2017 anche se noi lo abbiamo saputo solo ad ottobre dello stesso anno. Sono passati quasi due anni da allora e sono cambiate molte cose, nel frattempo. Penso che la community abbia fatto sentire fortemente la propria voce per smentire la possibilità che il pubblico non cerchi più esperienze single player finite. Le vogliono e come, tutti le vogliono. Forse è per questo che EA ha cambiato strategia.
Bisogna anche tenere a mente che ci sono stati molti cambiamenti nel management di EA, da quando siamo andati via. Sia Patrick Soderlund che Jade Raymond hanno lasciato la compagnia e Laura Miele, il general manager del franchise di Star Wars, ha ora il ruolo che era di Patrick. Non ho un'idea precisa di cosa succeda all'interno di EA ma penso che i nuovi capi possano avere avuto una parte importante nel suo cambiamento di strategia. Sono contenta per Respawn e non vedo l'ora di poter giocare al loro titolo, davvero.
Eurogamer: L'universo di Titanfall ha moltissimi punti in comune con quello di Star Wars e, come dicevi prima, Respawn è una compagnia a sé stante con circostanze proprie. Non lavorano col Frostbite, ad esempio, un elemento che sembra fare davvero la differenza...
Amy Hennig: Beh, per quanto ci riguarda eravamo costretti dal publisher a sviluppare su Frostbite ma, dal momento che Respawn ha un rapporto con EA simile a quello di Naughty Dog con Sony, viene trattata come se fosse una sussidiaria. Non conosco i termini legali del rapporto tra Respawn e EA ma sono certamente due entità separate con la possibilità di discutere sulle proprie opinioni. Visceral, invece, era uno studio interno a tutti gli effetti.
Eurogamer: Avevamo qualche domanda sulla possibilità che potessi entrare nell'industria cinematografica ma ci hai già risposto. Se mai decidessi di fare un film, comunque, sembra che tu abbia la strada spianata.
Amy Hennig: Credo che se un giorno decidessi davvero di farlo ci riuscirei ma penso anche che ci sia un certo pregiudizio nei nostri confronti nell'industria cinematografica e televisiva. Tutti adorano quello che facciamo ma per adattare i nostri lavori vorrebbero un "vero" sceneggiatore o un "vero" regista. Il nostro lavoro è praticamente lo stesso ma ci vedono come se appartenessimo ad una lega inferiore. Non è un discorso generale, ovviamente. Molte delle organizzazioni più giovani conoscono il valore di quello che facciamo perché sono giocatori, adorano i videogiochi. Ad Hollywood, invece, il discorso è differente e il pregiudizio verso gli sceneggiatori e i registi di videogiochi è molto più presente.
Mi piacerebbe combattere quel pregiudizio, credo. Il fatto è che il modo in cui facciamo le cose si basa per gran parte sull'improvvisazione ed è incredibilmente soddisfacente. Non credo che mi piacerebbe accettare tutte le limitazioni imposte nella creazione di un prodotto in live action. Sono molto più entusiasta del fatto che alcuni engine come l'Unreal siano arrivati ad un livello tale da permetterci di creare contenuti con un livello di fedeltà così elevato da essere godibile almeno quanto un live action. Utilizzando tutto ciò che sappiamo per creare contenuti per un audience più ampio, che siano prodotti lineari, interattivi, VR, AR o anche tutte le precedenti, la cosa fantastica è che possiamo creare un backlog virtuale di personaggi, costumi e ambientazioni mentre lavoriamo sulla storia. Questo significa che possiamo cimentarci in qualsiasi ambito dell'entertainment perché abbiamo già gli asset per farlo.
Non si può dire la stessa cosa per il live action perché se si crea un grande film e poi si pensa di adattarlo in forma videoludica, beh, si dovrà fare partendo da zero. Si tratta di un argomento davvero intrigante per me. Se teniamo in mente le abilità sviluppate dai creatori di videogiochi, tra storia, interattività e visione in tempo reale, possiamo imbastire un diagramma di Venn a tre cerchi la cui intersezione rappresenta un set di esperienze e abilità piuttosto rare da trovare. In senso prettamente mercenario, non sfruttare questa situazione sarebbe stupido, soprattutto considerando che l'industria si sta evolvendo e che i media lineari e quelli interattivi si stanno fondendo. Arriverà un momento in cui le abilità di cui disponiamo saranno davvero richiestissime.
Penso che abbiamo la possibilità di creare contenuti davvero entusiasmanti per le piattaforme di streaming, in modi che saranno difficili da eguagliare per coloro che creano prodotti non interattivi. Sono bravissimi a creare le storie e, ovviamente, noi dobbiamo seguire il loro esempio ma sicuramente non conoscono il nostro mondo.
Eurogamer: Hai già un'idea del tipo di esperienze che potrete offrire grazie alle piattaforme di streaming? La durata sarà un elemento chiave?
Amy Hennig: Beh, questo è un elemento totalmente soggettivo. Fortunatamente, però ho il beneficio di aver visto il fenomeno generato da Uncharted e dai giochi di quel genere, basati su una bella storia e con un certo livello di fedeltà visiva. I giochi di questo tipo riescono ad attrarre l'attenzione di un pubblico molto ampio: anche i non-giocatori in famiglia sono interessati a vedere come si svolge la storia, a partecipare. In gran parte dei casi non gli importa di quello che c'è sullo schermo perché molti titoli non sono molto "godibili" per qualcuno che non gioca. Con giochi come Until Dawn o Uncharted, invece, si verifica questo fenomeno particolare: tutti possono sperimentare quel tipo di esperienze in modo diverso. Parenti, genitori e altri membri della famiglia si ritrovano spesso a dire: "ehi, non andare avanti senza di me!", e credo sia qualcosa di davvero fantastico.
Non vogliono avere il controller tra le mani perché lo percepiscono come uno spaventoso pezzo di hardware. Allo stesso modo, però, interagiscono con il gioco almeno quanto chi sta giocando perché dicono "guarda lì", "non andare lì", "che succederebbe se ci arrampicassimo qui?", "credo di aver capito dove andrà a parare la storia"... Si tratta di un momento di gruppo che ci fa capire che anche i 'non-gamer' possono essere interessati a quello che facciamo. Non creiamo i nostri prodotti con quella categoria di persone in mente e non cerchiamo di sviluppare giochi che facciano parte di questo fenomeno, succede tutto per caso.
[I giochi, in generale] richiedono una console molto costosa e un controller da 15 o più pulsanti: qualcosa che potrebbe davvero intimidire un 'non-giocatore'. Probabilmente giocano con gli smartphone, con iPad, partecipano ai giochi da tavolo ma non è facile per loro partecipare ai nostri giochi. Credo, tuttavia, che ora ci sia un'opportunità di coprire anche quella fetta di pubblico. Credo che quando avranno lo streaming in tempo reale a portata di mano, esso cambierà il loro modo di vedere le cose e mi piacerebbe essere parte di questa trasformazione.
Non sto dicendo che faremo dei semplici porting dei nostri giochi perché questo non aiuterebbe ad ampliare il nostro pubblico. La strategia che adotteremo è quella di continuare a sviluppare i giochi come già facciamo senza rinunciare a creare qualcosa di completamente nuovo che possa incrementare la nostra platea. Ci sono tantissimi titoli indipendenti che avrebbero una presa fortissima su questo tipo di pubblico ma che, per vari motivi, non riescono ad entrare in contatto con loro. Questi titoli trarrebbero grandi vantaggi dal passaggio a queste piattaforme di streaming. Dobbiamo iniziare a creare contenuti che siano costruiti attorno alla filosofia dell' "intrattenimento interattivo". Non cambieremo il nostro modo di fare videogiochi, amplieremo semplicemente la nostra offerta.
I videogiochi, tradizionalmente, si basano sul battere, conquistare, padroneggiare le difficoltà, superare i fallimenti. Molte delle nostre storie giocano con queste tematiche. In questi giorni è in atto un dibattito su Sekiro, Celeste e sulla loro notevole difficoltà. È come se fosse una montagna da scalare ed è questo che rende questi giochi così appaganti. Ci sono, però, alcuni che criticano questi titoli a causa della loro mancanza di accessibilità. Personalmente credo che i creatori che decidono di giocare con la difficoltà per i loro titoli non debbano cambiare il loro modo di sviluppare videogiochi e che dovremmo essere molto più cauti quando parliamo di "accessibilità". Credo che ultimamente ci stiamo limitando tantissimo nel nostro medium. Dovremmo fortemente ripensare la terminologia che ruota attorno al mondo del gaming.
Allo stesso modo, però, penso che sia perfettamente positivo avere alcune esperienze che non si basino solo sull'alto tasso di sfida offerto ma piuttosto sulla bellezza del viaggio da intraprendere. Se ci pensate ci sono già moltissimi titoli che adottano questa filosofia: Journey, What Remains of Edith Finch, Florence e tanti altri. Non cambieremo il corso della storia, risolveremo tutti gli stessi puzzle, muoveremo tutti gli stessi oggetti ma la relazione con queste meccaniche interagisce col giocatore in un modo strettamente personale. Credo che potremmo puntare molto di più in quella direzione, invece di definire il nostro medium semplicemente in base alla sua difficoltà o al senso di soddisfazione che deriva dalla conquista.
Il nostro tempo è limitato e penso che vada bene progettare giochi che si basino sul procedere lungo una linea narrativa invece che dirti semplicemente 'hai fallito, riprova'. Sono davvero grata che esista Bandersnatch, che Netflix si sia lanciata a capofitto in questo nuovo campo e abbia cercato di far quadrare le cose. Si tratta proprio del più grande esempio dell'approccio libero e della libertà espressiva che cerco. Non c'è niente da perdere. Il prodotto è lì, hai un abbonamento e puoi scegliere se dargli una possibilità. Funziona. La cosa interessante, comunque, è che ho sentito molte persone lamentarsi di alcuni dei finali poiché ti davano la sensazione di aver fallito, di non aver scelto il percorso giusto. Era come avere ogni volta un bivio e non sapere quale fosse la strada giusta da intraprendere anche se, effettivamente, non c'era una scelta più corretta delle altre.
Quella era la tematica dell'episodio in quanto appartenente alla serie di Black Mirror ma ho scoperto che la gente si sentiva un po' frustrata, non aveva idea di quanto tempo gli venisse chiesto di investire in Bandersnatch. Non sanno se ci vorranno 30 minuti, un'ora o un'ora e mezza. Credo che vogliano sapere quanto tempo dovranno investire. Per questo non offriremo necessariamente contenuti da 10 ore ma anche esperienze da 30/60 minuti alla volta.
Eurogamer: Until Dawn è un buon esempio di quanto hai detto fino ad ora, forse perché i suoi personaggi sono tutti pensati per essere nauseanti per qualche motivo: non abbiamo mai paura di "fallire" e perdere uno di loro!
Amy Hennig: Ha tutti i connotati classici degli horror, ecco perché è così accessibile come esperienza condivisa. Di solito guardiamo i film horror in compagnia perché ci piace urlare allo schermo, provare ansia e terrore tutti insieme. Era una cosa abbastanza naturale da fare e credo che fosse tutto pianificato nei minimi dettagli. Penso che ci siano arrivati come abbiamo fatto noi con Uncharted, perché il gioco si adatta bene al concetto di esperienza condivisa. Tutto ciò che funziona nei film horror come l'investigazione, la suspense, le scelte ed i momenti adrenalinici ci sono anche nel gioco.
Si può fare un discorso simile anche per Uncharted. Nella serie, infatti, c'è mistero, la scoperta di una storia affascinante, l'esplorazione, la risoluzione di problemi e enigmi ambientali. Quando c'erano le sparatorie da 10 minuti, però, i non-giocatori tendevano ad allontanarsi dallo schermo e non perché ci fosse qualcosa di sbagliato in quelle sezioni del gioco. Quantic Dream, ad esempio, fa cose molto interessanti, secondo me. So che i loro giochi vengono spesso additati come un "agglomerato di sequenze QTE" ma non credo sia giusto parlarne in questi termini. L'accessibilità di quei titoli in termini di meccaniche e di storia narrata fa sì che tutta la famiglia possa radunarsi attorno alla TV per scoprire come andranno a finire quelle vicende.
Cercheremo di fare cose completamente nuove con i giochi che proporremo, cose che non sarebbero possibili con lo scoglio rappresentato dalla necessità di avere una console da 400 dollari e di saper utilizzare un controller. Ci sono persone che potrebbero non entrare in contatto con queste esperienze ma che, grazie a un servizio in streaming a cui sono già iscritti, potrebbero avere un'occasione di farlo. Potrebbe rappresentare un interessante passo avanti per l'intero entertainment.
Eurogamer: Pensi che le console tradizionali continueranno ad avere un ruolo importante, in futuro?
Amy Hennig: Non ne ho idea, non so nemmeno se dovrebbero o meno. So che molti sono preoccupati che il cloud streaming possa introdurre nuovi modelli di business dannosi per l'industria. Anche io ho qualche dubbio in merito. Mi piace l'idea che hanno i gamer di poter tornare su alcuni giochi, di esserne proprietari.
Anche a me piace accumularli nella mia libreria! Non potete immaginare quante centinaia di libri abbia in casa. Ho iniziato a usare il Kindle molto tardi perché detesto l'idea di non avere un libro fisicamente tra le mie mani. Per anni ho avuto tonnellate di CD sparsi in giro perché non mi piaceva la prospettiva di non avere più copie fisiche. Non sono quello che si definisce un' "evangelista digitale" ma mi rendo conto che, andando avanti, le persone si sono abituate a non avere più una copia fisica tra le mani. Se ci pensate bene, andando avanti, si sono venduti sempre meno lettori musicali, DVD o perfino BluRay perché la gente ha iniziato a usufruire di quei contenuti tramite i servizi in streaming.
La musica, i film e gli show televisivi sono andati in quella direzione e sembra inevitabile che anche l'intrattenimento interattivo li seguirà a ruota. Il fatto che una console o un PC di alta fascia possano offrire esperienze fuori dalla portata dello streaming per molto tempo sarà l'ago della bilancia che definirà il ciclo vitale delle console. Molti esponenti dell'industria credono che la prossima generazione di console potrebbe anche essere l'ultima e che poi ci sposteremo sui servizi in streaming come tutti gli altri.
Eurogamer: Questa rivoluzione nel campo del design sarà anche un'opportunità per correggere gli aspetti più tossici dell'industria? Credi che aiuterà a cancellare i fenomeni peggiori come i periodi di crunch o i cicli di licenziamenti di massa?
Amy Hennig: Sicuramente. Mi sono espressa più volte su questo argomento perché sono stata interessata in prima persona dai cambiamenti che questa industria sta affrontando. Non credo che il modo in cui creiamo i videogiochi possa essere ancora sostenibile. Abbiamo sempre questa Spada di Damocle che pende sopra di noi perché ci vuole tanto tempo per sviluppare un titolo, c'è bisogno di tanta gente e di enormi budget. Ogni tipo di fallimento potrebbe affossare uno studio.
Ogni gioco deve essere un capolavoro, un successo planetario. Ecco perché gli sviluppatori sono così nervosi prima del lancio, ecco perché vedete gente come Cory Barlog piangere di gioia davanti alle recensioni di God of War. Lo stress e la tensione che si accumulano nel corso degli anni dello sviluppo sono semplicemente disumani. Ciò accade perché tutto dipende dal successo, non solo la realizzazione di un'espressione creativa ma anche il futuro stesso del team di sviluppo. Oggigiorno ci prendiamo meno rischi ma più grossi mentre qualche tempo fa puntavamo su una serie di progetti di differenti proporzioni.
Ero entusiasta in merito alla la distribuzione digitale perché pensavo che potesse aprire un po' gli orizzonti dei vari marketplace grazie alla possibilità di evitare i costi di masterizzazione e distribuzione di un gioco che portano automaticamente il prezzo al di sopra dei 60$. Speravo che avremmo visto quello che stavo descrivendo, ovvero uno spettro di giochi molto più ampio su diverse fasce di prezzo. È esaltante vedere giochi come Hellblade o Uncharted: The Lost Legacy, a 20 o 30$ perché significa che possiamo fare giochi più brevi, più accessibili in termini di tempo necessario per completare il gioco e non venderli a prezzo intero.
"Penso che sia perfettamente positivo avere alcune esperienze che non si basino solo sull'alto tasso di sfida offerto ma piuttosto sulla bellezza del viaggio da intraprendere."
La cosa ancora più incredibile è che, se guardiamo ad Uncharted: The Lost Legacy, possiamo dire che sia grande almeno quanto Uncharted 1 ma in realtà è anche più grande perché ha il multiplayer e, nonostante ciò, costa 40$ e non 60$. È strano perché non possiamo variare troppo il prezzo di vendita ma gli investimenti crescono di continuo. Quasi nessun gioco costa meno di 100 milioni di dollari ormai ma, al contrario, si raggiungono cifre come 150, 200 o 300 milioni. È pazzesco! Si tratta di cifre accomunabili ai blockbuster cinematografici. Quando questi titoli hanno successo va tutto bene ma, in caso contrario, è un disastro. In questo senso, se investiamo sempre di più in meno progetti significa che avanzeremo sempre più lentamente come industria. Vedremo sempre meno decisioni rischiose in termini di design perché ogni passo falso può costare cifre spaventose. Per questo motivo sono gli studi indipendenti a lanciarsi in progetti più rischiosi e spesso siamo noi a doverci ispirare ai giochi indie perché loro hanno la possibilità di assumersi rischi che noi non possiamo permetterci.
È per questo che i giochi Tripla-A si somigliano un po' tutti, perché gli studi tentano di fare cose già collaudate e di successo. Non fraintendetemi, è perfettamente normale, non c'è niente che non va con questi giochi, è solo che mi dispiace non avere più libertà di scelta in uno spettro più variegato di proposte. Ultimamente si riduce tutto ai games-as-service o ai battle royale. Tutti cercano di capire come dare al mondo il proprio Fortnite ma non tutti ci riescono. Se competiamo di continuo per tenere i giocatori all'interno dei nostri mondi, beh, quegli stessi utenti non avranno il tempo materiale per giocare ad altro. Quindi cosa significa? Che solo due o tre giochi possono davvero essere redditizi? È l'esatto opposto di quanto accade su Netflix dove abbiamo una scelta incredibile tra una pletora di generi differenti. Credo che l'industria videoludica debba fare qualcosa di simile, creare una più vasta scelta di esperienze interattive. Quando guardo al futuro e vedo che i videogiochi diventano sempre più grandi in termini di proporzioni ma sempre meno carichi di inventiva, beh, non posso che essere entusiasta delle possibilità offerte dallo streaming.
Eurogamer: Credi che l'istituzione di un sindacato possa aiutare a risolvere alcuni dei problemi che piagano l'industria videoludica?
Amy Hennig: Sì, e per tornare alla vostra domanda precedente, dal momento che sono andata per la tangente, la storia dei cicli di licenziamenti di massa è terribile perché naturalmente stiamo parlando di persone e del loro lavoro. Lo abbiamo visto in altri settori che sono diventati sempre più costosi, soprattutto quando ci si trova a lavorare in una delle parti più costose del mondo. Era uno dei problemi che Visceral aveva, ad essere onesti, era sicuramente tra gli studi più costosi nella famiglia EA a causa della sua posizione. Non c'è niente che si potesse fare al riguardo: il costo della vita nella Bay area era semplicemente troppo alto.
Non voglio trovarmi nelle condizioni vergognose che hanno dovuto affrontare, ad esempio, i lavoratori nel campo degli effetti speciali. Gli studi che si occupavano di effetti visivi in California stavano scomparendo e le persone dovevano scegliere tra spostarsi in zone dove potevano ricevere crediti d'imposta oppure perdere il proprio lavoro. Credo che sia più plausibile uno scenario in stile Hollywood: avremo studi più piccoli in cui le figure chiave sono sotto contratto da dipendenti che lavoreranno a stretto contatto con partner esterni che potrebbero trovarsi dall'altra parte della strada o all'altro capo del mondo. A ogni modo non pensate a questa possibilità come ad un lavoro in outsourcing ma più come se fosse uno sviluppo distribuito tra più aziende, una sorta di co-sviluppo. Tutto sommato è ciò che succede anche ad Hollywood: le persone che contribuiscono allo sviluppo di una serie TV o di un film, solitamente non sono assunte da un'unica entità. Sono liberi professionisti. Certo, potreste vederli lavorare sempre con gli stessi partner, potreste vedere un regista chiamare sempre gli stessi direttori di produzione e membri della crew ma ciò non significa che siano parte della stessa organizzazione.
Tutto questo richiede assolutamente l'istituzione di un sindacato perché questi lavoratori avranno bisogno di un'organizzazione che protegga i loro interessi, che fornisca loro un'assicurazione sanitaria, un piano pensionistico e altre cose di quel tipo, se non saranno più impiegati di uno studio. Un'altra cosa che penso di poter vedere in futuro riguarda l'organizzazione degli studi di sviluppo. Per molti anni abbiamo avuto un modello secondo cui uno studio come, ad esempio, Naughty Dog lavorava con una serie di partner nel sud-est asiatico o nell'Europa orientale, in outsourcing per creare tutti gli asset necessari. Non bastava che il team interno diventasse più grande ma c'era anche bisogno del supporto di varie aziende esterne perché i contenuti erano semplicemente troppi. Quello che mi emoziona è che si potranno creare gruppi specializzati nella creazione, per esempio, di personaggi o degli ambienti e quello stesso gruppo potrà essere un'entità che fornisce tutte le protezioni del caso ai propri dipendenti. Ma poiché non sono dipendenti dello studio principale, non ci sarà bisogno di accrescere o tagliare la propria squadra, quando necessario. Potremo seguire l'esempio dell'industria cinematografica, potremo avere una maggiore e scalabilità, assumendo partner di sviluppo quando è opportuno. In questo modo, si potrebbe lavorare su più giochi contemporaneamente.
Penso che questo sia il modo in cui andranno le cose e credo che molte persone che stanno iniziando a studiare oggi la pensino come me. Vogliono mantenere il gruppo di riferimento piuttosto piccolo, lavorare in modo significativo con partner che sono specialisti su base continuativa ma non assumerli come dipendenti. E questo significa che abbiamo decisamente bisogno di un sindacato. È una tendenza e ovviamente non ne vedremo subito i frutti, anche perché ci sono molti grandi studi affermati. Le aziende continueranno a lavorare come fanno ora ma ci vorrà solo un grosso fallimento catastrofico, un gioco che è in sviluppo da quattro o cinque anni con un budget di 200 milioni di dollari per sovraccaricare le cose. Dobbiamo cambiare il nostro modo di fare perché il modello di sviluppo non è più sostenibile. Dobbiamo sviluppare anche giochi più piccoli, fare scommesse più piccole e più frequenti, invece di puntare tutto sui tripla-A. Penso che abbiamo anche bisogno di sviluppare uno stile di lavoro che ci permetta di collaborare con liberi professionisti e partner specializzati in co-sviluppo. Nel futuro, succederà sempre di più.