Biometria e videogiochi
Stefano Gualeni spiega le frontiere del game design.
Già dal primo passaggio ci siamo accorti della presenza di alcuni fattori non propriamente ragionevoli per il tipo di target audience che ci siamo proposti: la velocità iniziale del gioco, ad esempio, risultava troppo alta per i nostri tester, così come alcune porzioni di grafica erano risultate non ottimali da un punto di vista percettivo: questo primo ciclo puramente interattivo ci ha dunque permesso di correggere e reimpostare questi parametri.
A questo ne è seguito un secondo, in cui abbiamo potuto verificare i cambiamenti precedenti e abbiamo analizzato lo stress cognitivo dei nostri tester al termine del tutorial proposto, valutando in questo modo se l'esperienza di gioco si fosse dimostrata troppo pressante o, al contrario, troppo leggera. Tra tre settimane avremo ancora la possibilità di effettuare un ultimo tuning quantitativo, in modo da raggiungere quanto abbiamo in testa.
GUA-LE-NI non presenta alcuna interfaccia, ne tantomeno un controller virtuale: il giocatore manipola gli oggetti su schermo proprio come se fossero veri. In questo frangente, l'influenza dell'approccio biometrico sul design è stata decisiva, portando a dinamiche rivolte potenzialmente a tutti ed estremamente accessibili, anche da un punto di vista cognitivo.
Banalmente credo di sì: noi stiamo lavorando sul casual, ma presumo che major come EA inizieranno ad implementarlo seriamente. Anche perché è un tool che ben si affianca a quanto già a disposizione delle aziende, e se il denaro non manca non vedo perché non usarlo. Ritengo che lo sviluppo più interessante sia il Biofeedback, ossia il gioco che si adatta all'utente. I primi esperimenti non sono stati propriamente un successo, ma con buona probabilità esso sarà la vera rivoluzione tecnica del game design già a partire dal prossimo anno.
Aprirsi ad un mercato capace di relazionarsi a sensori non eccessivamente complicati o costosi è una cosa che, almeno secondo me, faciliterà lo sviluppo della cultura del videogioco e la sua diffusione come tecnologia di intrattenimento.
Non ho una vera e propria risposta: da un lato aumentano i vincoli di lavoro ma dall'altro vi è un sensibile supporto al processo di design. Dipende dal "tipo" di designer, da quanto è disposto a sperimentare e da quanto crede in questa tecnologia. Io lo considero un valido aiuto aggiuntivo, nella speranza che faccia davvero la differenza e che ci possa garantire un maggior controllo sull'esperienza che stiamo creando.