L.A. Noire
Un punto in più per l’arte.
Alcuni casi si concluderanno con solo tre domande e tanta azione, altri invece col taccuino pieno di indizi da analizzare alla Centrale di Polizia. Alle volte si dovrà mettere mano alla pistola, altre usare l'intelletto. Potrà accadere che l'indiziato confessi tutto o che voi lo dichiariate colpevole dopo un interrogatorio incrociato con un suo complice, seduto nella stanza a fianco.
Potrà accadere che troviate la cosiddetta "pistola fumante", la prova schiacciante che vi varrà i complimenti del capitano e una prima pagina sui quotidiani. Altre volte invece accuserete delle persone sulla base di pochi indizi e del vostro sesto senso: in tal caso potreste anche sbagliarvi e mandare in galera un innocente.
A questo bendiddio va aggiunto che la sceneggiatura di ogni singola indagine è talmente ben fatta che quel che all'inizio pare un crimine banale potrebbe vedervi alla fine della missione intenti a correre a rotta di collo per il set di un kolossal hollywoodiano, con le scenografie che crollano sotto i vostri piedi mentre inseguite un sospettato. Rockstar ha inventato storie che non si sa mai dove andranno a parare fino a quando non le si vive in prima persona, il che merita un plauso incondizionato.
Se ciò non bastasse a fare aumentare la vostra salivazione, lasciate che aggiunga che in realtà tutti e 21 gli episodi di cui si compone questa serie televisiva travestita da videogioco, partono slegati ma alla fine mostrano una linea comune che li unisce. La storia personale di Cole Phelps, il protagonista, si intreccerà con una trama parallela scopribile trovando 13 quotidiani sparsi per Los Angeles.
Questo cocktail si arricchirà poi di alcuni flashback in bianco e nero, ambientati nella Seconda Guerra Mondiale a Okinawa, che mostreranno come Phelps sia diventato un eroe decorato e quali segreti nasconda. Una sceneggiatura su tre livelli, dunque, che evidenzia una volta di più l'attenzione riposta da Rockstar, sebbene vista la sua lunghezza richieda una certa pazienza per essere apprezzata.
Giunti a questo punto, si capisce che siamo di fronte a un capolavoro come non se ne vedevano da tempo, a uno di quei giochi capaci di far tornare l'entusiasmo verso il nostro medium per i prossimi anni. Ma, e qui iniziano le note dolenti, L.A. Noire è sfortunatamente tutto tranne che un gioco perfetto.
Innanzitutto, a livello di game design, la scelta di inserire la trama in un contesto sandbox si rivela discutibile, non perché l'idea in sé sia sbagliata, anzi, ma per il modo in cui ciò è stato implementato. La Los Angeles ricreata con cura certosina dal Team Bondi (già autore di The Getaway quando si chiamava Team Soho), è dettagliata all'inverosimile e grande come non mai, ma è purtroppo anche una città "morta" come quella di Mafia.
A differenza della Liberty City di Grand Theft Auto, non offre veri stimoli alla sua esplorazione e non ci permette alcun tipo di interazione se non quelle concesse dall'indagine in corso. L'unico stimolo alla sua scoperta risiede nella solita rassegna di collezionabili che, nel nostro caso, prendono la forma di auto speciali da sbloccare, luoghi famosi da scoprire e pellicole cinematografiche da raccogliere.
Nulla che influenzi direttamente lo svolgimento della trama, se non per il fatto che a ogni nostro ritrovamento guadagneremo dei punti esperienza che ci permetteranno di portare Cole Phelps fino al ventesimo livello. Questa corsa al livellamento però non deve fare pensare a contaminazioni ruolistiche: niente aumenti di statistiche o nuove abilità, infatti, ma solo vestiti da sbloccare e Punti Intuito da spendere durante gli interrogatori.
Come accennato in sede di preview, infatti, qualora ci si trovi in difficoltà durante un interrogatorio si potrà spendere un punto intuito per escludere una delle tre opzioni disponibili o per contattare il Social Club di Rockstar e ottenere un'indicazione sulla possibile risposta, che verrà calcolata sulla media delle scelte fatte dagli altri utenti che stanno giocando a L.A. Noire.