Project Dust
Eric Chahi ci parla della sua prossima creazione.
L’accostamento a Populous mi onora, mi limito a dire che nel mio gioco si potrà plasmare qualsiasi elemento (lava, acqua, roccia, ecc.) come se fosse sabbia sulla spiaggia con la quale costruire un castello. Tutti questi materiali poi si comporteranno dinamicamente adattandosi in tempo reale ai cambiamenti introdotti dal giocatore.
L’obiettivo è prendersi cura di una tribù, aiutarla a svilupparsi ed espandersi territorialmente, proteggerla dalle avversità della natura, e restituirle la conoscenza andata perduta col tempo. Più la popolazione si espanderà, più questa sarà pronta a migrare verso nuovi territori, nei quali potrà scoprire anche reliquie del passato che amplieranno le loro conoscenze. Al tempo stesso, saranno maggiori i territori da controllare e quindi aumenterà la difficoltà del gioco.
Ci sarà una conclusione ma sarà aperta. Non voglio comunque rivelare troppo della trama, è ancora presto!
Sarà scaricabile per XBLA, PSN e PC.
In realtà i comandi da dare sono alquanto elementari: col grilletto sinistro si raccolgono gli oggetti o gli elementi, e li si sposta e li si manipola a piacimento. Ad esempio, per salvare la popolazione da un’inondazione si può raccogliere della terra e lasciarla cadere per creare uno sbarramento, oppure deviare il corso del fiume che la minaccia. Ogni problema avrà più di una soluzione , ma compiendo quest’azione si creeranno nuovi ostacoli da superare, perché a ogni azione corrisponderà una reazione in una sorta di gigantesco effetto domino. Credo si possa definire il gioco come la simulazione di un perenne stato di emergenza.
Tutto tranne le musiche…
Dipende dai giochi, il nostro mondo non è composto solo da produzioni miliardarie con centinaia di persone che lavorano su un solo titolo. C’è ancora spazio, soprattutto grazie alla distribuzione digitale, per progetti di minore portata gestibili più facilmente da un ristretto numero di persone.
Indubbiamente, comunque, il ruolo del game designer è cambiato. Ora non si possono più sviluppare giochi da soli, piuttosto si deve indicare al proprio team una direzione, un obiettivo da perseguire. Questo però significa anche accettare che il risultato finale non sia esattamente quello che si aveva in mente, perché ogni persona metterà una parte di se stessa nel tutto.
Sono diciassette.
Beh, per Heart of Darkness avevo a disposizione un team di 10/12 persone (piccola nota a margine: uscito nel 1998, fu considerato uno dei giochi più ambiziosi dell’epoca. Leggere oggi le dimensioni del team che vi lavorò, fa sorridere, ndR).
Diciamo che non ebbe il budget più alto per quell’epoca, ma ci andò vicino…