Intervista a Shigeru Miyamoto
Alla ricerca della felicità.
Quando Shigeru Miyamoto iniziò a lavorare alla Nintendo, lui stesso non aveva idea di dove sarebbe arrivato. I suoi erano sogni da game designer, che lo hanno portato a essere uno dei punti di riferimento dell’intero panorama dell’intrattenimento videoludico. E in Nintendo ha trovato la compagnia giusta in grado di supportarlo.
“Prima di arrivare in Nintendo, avevo questo chiodo fisso di creare qualcosa che potesse sorprendere il mondo, anche se non avevo un’idea concreta di ciò dovevo che fare,” ci racconta. “Una volta all’interno della compagnia mi concentrai su un prodotto che fosse in grado di meravigliare la gente.”
Miyamoto è senza dubbio un genio nel suo campo ma la genialità da sola non è garanzia di successo. Ci vuole fortuna. E Miyamoto ha avuto la fortuna di creare videogiochi nel momento giusto e con la compagnia giusta.
“Mi ritengo fortunato di aver creato videogame nell’epoca in cui Space Invaders ha fatto il boom,” ci ha confessato. “Ricordo ancora che Space Invaders rappresentò per me lo spunto verso qualcosa che avrebbe segnato la mia vita.”
“Poi, quando mi venne data l’opportunità di lavorare al mio primo gioco arcade, Donkey Kong, pensai che la mia carriera stava per cominciare.”
Space Invaders, quindi, creò l’opportunità, ma poi fu la cultura Nintendo a sviluppare il genio di Miyamoto.
Nato il 16 Novembre del 1952 a Sonebe, in Giappone, dopo aver completato gli studi presso il college di Shigeru, nel 1977 Miyamoto venne assunto nello staff di Hiroshi Yamauchi, futuro presidente di Nintendo. Prima che l’idea di Donkey Kong prendesse vita, Miyamoto si dedicò all’approfondimento del game design, studiando da vicino l’evoluzione dei giochi arcade più popolari.
In questi anni collaborò quotidianamente con il vecchio Gunpei Yokoi, il designer del Game Boy e il producer del primissimo Metroid, da cui ricavò le prime dritte sull’arte del game design.
“Mi disse che stavo pensando a troppe cose, a troppi elementi. Era arrivato il momento di fermarsi e di focalizzarsi su ciò che avrei dovuto realizzare nel concreto.”
Yokoi fece un esempio che Miyamoto ancora ricorda bene. Gli disse di immaginare un uomo seduto su una sedia a cui viene chiesto di aprire le mani nel momento in cui si accende una luce. Semplice. E di alzarsi ogni qualvolta sente un suono. Ancora più semplice. Ma cosa dovremmo chiedergli nel momento in cui luci e suoni si attivassero simultaneamente? È un aneddoto curioso ma in grado di mostrare l’approccio al videogioco di Miyamoto.
In altre parole, l’ansia di imparare rendeva tutto il processo di game design troppo complicato. Da Yokoi capì che la semplicità d’approccio era fondamentale per far arrivare alle persone il concetto di gioco.
“Il mio punto di vista nel fare i videogiochi prende sempre spunto da un ambiente all’interno del quale le persone possono sperimentare. Parto dalla semplicità, per poi permettere a tutti di andare oltre questo concetto di apparente facilità.”
Quando nel 1981 arrivò Donkey Kong, ebbe successo non per l’esperienza di gioco in sé. Era stato creato non da uno sviluppatore ma da un artista. E da quel momento il suo ruolo prese sempre più piede all’interno dei vari team di sviluppo.